Laboratorio Giuditta Brozzetti: una bellissima storia di donne.

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Laboratorio Giuditta Brozzetti: una storia di sensibilità, intelligenza, lungimiranza, amore.

Ma andiamo con ordine…

Il luogo: San Francesco delle Donne, chiesa ormai sconsacrata all’interno delle mura dell’antica città di Perugia, dedicata al Santo di Assisi ed eretta quando era ancora in vita, nel posto da lui prescelto come ricovero durante le sue soste a Perugia. La più antica delle chiese francescane della città e tra le più antiche di Italia.

La proprietà della chiesa, nel 1250, passò dai Francescani  ad un convento di suore benedettine, che ne modificarono l’aspetto originario, e dalle quali mutuò il nome “delle Donne” (un nome, un destino).

L’utilizzo del fabbricato ai fini produttivi inizia in età napoleonica, quando, a seguito degli espropri voluti da Napoleone ai danni della Chiesa, il complesso viene adibito a filanda di seta, proprietà del Conte Faina.

Dopo i più vari utilizzi, il lotto di fabbricati, inclusa la chiesa, venne messo all’asta e acquistato dal papà di Marta, la pronipote di Giuditta Brozzetti, entusiasta e tenacissima depositaria del tesoro che sto pian piano scoprendo.

Dal 1994 questa bellissima chiesa divenne la sede del Laboratorio di tessitura Giuditta Brozzetti.

Una teoria di telai si snoda lungo la navata, telai originali del ‘700 e dell’800, ancora perfettamente funzionanti.

Il più antico è un telaio del 1750 circa, la cui tecnica di tessitura risale all’epoca medievale, a quattro “licci” (strumenti dove passano i fili dell’ordito comandati da pedali, al fine di eseguire il motivo ornamentale desiderato): sin dall’antica Roma i licci  usati nei telai erano due, dal Medioevo in poi aumentarono di numero per permettere la realizzazione di una maggiore varietà di motivi decorativi.

Con i piedi si alzano ed abbassano i pedali che comandano i licci a mano a mano che la spola passa avanti e indietro, e la cassa battente accosta i fili del tessuto.

Le tovaglie perugine medievali erano realizzate con quattro licci ed un numero indefinito di “liccetti”, a seconda della complessità dei motivi decorativi… un lavoro di una difficoltà enorme, ma dal risultato impressionante.

Mi si fa notare come il lavoro al telaio, nonostante sia ormai quasi scomparso, faccia parte profondamente della nostra cultura. Moltissimi sono i modi di dire legati a questa attività: “fare la spola” (che proviene dal movimento tipico della spola sul telaio) o “ordire alle spalle” (perché saper fare l’ordito era una conoscenza di poche abili persone che la custodivano gelosamente) sono soltanto due dei molti modi di dire di uso più che comune.

In Umbria, fino al secondo dopoguerra, le donne erano solite tessere in casa al telaio, sia per realizzare corredi sia per produrre merce di scambio. In genere si trattava di tele molto semplici, realizzate con telai a due licci, con motivi decorativi elementari. Alcune tessitrici però conoscevano tecniche più complesse per impostare le “allicciature” ed erano quindi in grado di realizzare lavorazioni di grande pregio e bellezza. Di queste si innamorò la bisnonna di Marta, Giuditta, che fondò, nel 1921, il laboratorio tessile che oggi mi ospita.

Giuditta acquistò i telai jacquard ottocenteschi , che lavorano grazie a schede perforate che agiscono sui fili dell’ordito.

Il lavoro si fece più rapido ma molto più faticoso: c’è un solo pedale, ma agisce su un numero considerevole di piombi attaccati ai fili dell’ordito (che sostituiscono i licci), numero che varia a seconda della grandezza del telaio, accentuando notevolmente la fatica fisica.

Qui l’ordito è sempre di cotone, ma la trama può essere del materiale più svariato, dalla seta all’oro.

Punti la cui tecnica ormai scomparsa hanno ripreso vita grazie alla caparbietà di Marta, che pazientemente li ha recuperati ricavandoli dagli antichi dipinti rinascimentali: davanti a me la riproduzione di una stola che avvolge Gesù Bambino in una tela del Pinturicchio.

Una poesia infinita, arte e passione allo stato puro, amore per questo tesoro immenso di conoscenza ereditato da Marta dopo essere stato preservato ed accresciuto dalla nonna prima e dalla mamma poi.

Una visita che inebria la vista e riempie il cuore. I tessuti sono di una bellezza assoluta: le tovaglie perugine che si possono ammirare alla Galleria Nazionale dell’Umbria riprendono vita fra le nostre mani, motivi ricavati da affreschi e dipinti ornano stoffe di assoluto pregio.

Esco con un senso di gratitudine e fierezza.

Gratitudine per chi, con enorme sforzo, conserva questo immenso patrimonio di conoscenza e lo mette generosamente a disposizione di tutti, strappandolo faticosamente all’oblìo; e fierezza, perché tutto questo è merito di donne. Donne lungimiranti e imprenditorialmente capaci, o infaticabili lavoratrici votate alla fatica e al sacrificio. Tutte silenziose custodi delle nostre radici.

di Benedetta Tintillini

In questo video Marta lavora al telaio settecentesco a quattro “licci”:

 

 

Si ringrazia: Associazione Culturale Matavitatau www.matavitatau.it

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