Storia di una nobile zingara, il nuovo libro di Floriana La Rocca

floriana la rocca

Nella splendida accogliente e silente cornice della “Domus Volumnia”, a Perugia è stato presentata l’ultima fatica dell’attrice e scrittrice Floriana La Rocca.

Accolta dal proprietario del residence, Rossano Cervini e da un generoso pubblico, l’autrice ha introdotto il suo libro “Haloren – storia di una nobile zingara”, per i tipi della Bertoni Editore cantando e danzando ritmi tzigani al suono della fisarmonica di Umberto Ugoberti. Brani del libro sono stati letti dall’attrice Angela Pellicciari.

Introdotta dall’editore Jean Luc Bertoni cui ha datto seguito il saluto dell’Assesore Diego Dramane Wague, la scrittrice ha raccontato come,durante una vacanza in Polonia nel corso di una passeggiata, sia stata attratta dalla voce melodiosa di una giovane. Informatasi e scoperto che nelle vicinanze si trovava un campo di zingari, si è spacciata per giornalista ed infiltratasi ha raccolto sia dal re del campo che dai residenti, le testimonianze sulla vita di Ziryna, la giovane che sarebbe divenuta la protagonista del romanzo.


 


Il libro, traendo spunto dalla figura di una giovane donna, celebra una cultura che ai più sfugge; noi li chiamiamo “Gipsye”, “Tzigani”, “Gitani”, li distinguiamo per la loro pelle olivastra e per i loro vestiti sgargianti;  le loro regole, forse dure, sono lontane dal nostro modo di essere e di pensare ma comunque da rispettare. Un’etnia la loro che ha conosciuto il dramma dello sterminio nazista; secondo i nazisti, infatti, gli Zingari erano «un miscuglio pericoloso di razze deteriorate» e pertanto dovevano essere sottoposti con la forza alla sterilizzazione per impedire che si riproducessero. La sterilizzazione non era tuttavia un mezzo sufficiente e dal 1938 in poi gli Zingari conobbero lo stesso destino degli Ebrei. Contrassegnati da un triangolo nero, che significava asociali, affiancato dalla lettera Z per Zigeuner («zingaro» in tedesco) venivano spesso utilizzati come cavie negli esperimenti medici. Circa 500.000 furono gli Zingari sterminati dai nazisti.

Usiamo il termine “zingaro” in senso dispregiativo, ma rimaniamo avvolti dalla loro musica.”Dotati di un senso musicale d’incredibile profondità, certamente sconosciuto a qualsiasi altro popolo” aveva a dire Franz Liszt, in un saggio del 1859, stregato come fu dal loro appassionato modo di suonare il violino. Un modo di vivere che diventa occasione di riflessione – soprattutto oggi – e che deve portarci a comprendere che apparteniamo tutti alla razza umana.

C’è una parola chiave nel libro che esprime bene il carattere del personaggio che l’attraversa. “Appartenenza”.

Sì, perché la giovane protagonista Ziryna nel corso della sua travagliata esistenza non dimentica mai di essere quello che è, una zingara come la definisce la scrittrice  nel suo libro

Chi è Ziryna? E’ una giovane affascinante, forte e solida che allorché incominciò a muovere i primi incerti passi certamente non sapeva ancora quale cammino avrebbe dovuto intraprendere. Ma Ziryna è anche la musica espressione di liberazione; ella stessa è un canto mistico che innalza senza lasciarsi influenzare da nulla che sia estraneo ai suoi desideri.

Figlia  di un amore proibito (il padre era zingaro e la madre una giovane di nobile stirpe) fin da adolescente – meglio, da appena nata – ha conosciuto le asprezze della vita.

Una madre, Greta, di cui non ha mai potuto godere pienamente, un padre, Bartek, che ha offerto la sua vita a lei nella speranza di regalarle un futuro forse più roseo di quanto abbia potuto darle lui.

Un susseguirsi di eventi la porta vicino a Cracovia, nel campo di Rabka, e lì la sua vita cambia.

Dapprima l’incontro con Kaska, la maga del campo che nel corso di un rito la invita ad alzare lo sguardo verso la luna e pronunciare solo una parola: “Haloren”! Una parola magica che ella dovrà invocare quando avrà bisogno d’amore o d’aiuto.

Vivendo al campo, divenendo di giorno in giorno sempre più sensibile e desiderata, finisce per soccombere ai desideri di Alexandre, un bruto, che approfitta di lei : sacrifica il suo corpo ma non la sua integrità morale a beneficio della nuova famiglia e della sua voglia di realizzarsi.

L’amicizia innocente con Aziz “brutta pellaccia d’Africa” come lei affettuosamente e scherzosamente lo chiama e con il quale avvia i primi commerci, s’incrocia un giorno con un incontro che le segnerà la vita. La nostra eroina incontra l’amore, un amore clandestino e puro, vivo cristallino come l’acqua del fiume che attraversa il bosco di Bukovina, dove questo viene consumato; un amore anche fisico che la ripaga delle brutture cui si era sottoposta, un amore vissuto intensamente che la condurrà a prospettive diverse, aiutandola a ricominciare a vivere.

La vita di Ziryna cambia, ma non muta il suo approccio alla vita; la sua esistenza pur provata da molti eventi drammatici, viene attraversata da lei con la consapevolezza di donna  che – citando i versi di Baudelaire da “le fleurs du mal” –

“plana sulla vita e senza pene intende

il linguaggio dei fiori e delle cose mute”

“Haloren”, il ritorno di quella parola magica che invoca mirando le stelle, e permeando se stessa di quell’alone di libertà che le appartiene in quanto donna ed in quanto zingara, le restituisce una seconda vita; elle diviene ad un secondo parto; rinasce nuovamente, pur sapendo che quello che ha vissuto non si può cancellare; la sua forza è stata quella di non provare mai odio  –  e ne avrebbe avuto ragione – ma l’accumulo di odio, di livore a cosa conduce se non ad alimentare la sofferenza?Ziryna non torna alla vita, sarebbe improprio affermarlo; l’ha sempre posseduta appieno nei suoi accadimenti, l’ha condivisa coi suoi silenzi e col suo muto errare tra le stelle in cielo; Ziryna , consapevole della caducità del tempo, risponde al un richiamo, che è quello della memoria, degli affetti. Un filo invisibile di cui si cinge, avvolgendolo di passo in passo, e nel contempo dipanandolo perché sa che deve andare avanti, deve procedere. Perché fermarsi vorrebbe affermare vivere solo per sopravvivere, e non può esservi sopravvivenza quando si è vissuto, quando la vita ti ha posto difronte degli ostacoli, ti ha fatto commettere degli errori, errori ed ostacoli ai quali solo lasciandosi trasportare dall’alito di un nuovo vento – che è quello della (ri)affermazione di sé – si può riparare donando loro “nuova dignità e consapevolezza”.

Parafrasando i versi di una poesia credo che Ziryna possa dire, a compimento del suo viaggio che

“nulla sarà più così vicino
nulla così incantevole e puro
come quel giorno in cui il sole
si rivelò in pieno
sul mio volto che sogni
piangeva.”

Bruno Mohorovich

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