Le abbazie della Valnerina da Ferentillo a S. Anatolia di Narco

san pietro in valle esterno abbazie della valnerina

Il fascino delle abbazie della Valnerina, terra di confine attraversata da monaci in transito, dove le pietre hanno imparato a parlare raccontando le gesta di laboriosi eremiti e di illuminati sovrani.

Pietre senza nome che sostengono antichi campanili. Pietre millenarie che hanno assistito allo scorrere del tempo. Pietre che in silenzio hanno udito secoli di preghiere. Pietre su cui poggiano abbazie dal fascino arcano, nel ricordo dell’Umbria che fu e nel segno indelebile dell’equilibrium spirituale che avvolge Sant’Anatolia di Narco e Ferentillo. Ed è in Valnerina, terra di confine attraversata da monaci in transito, che le pietre hanno imparato a parlare raccontando le gesta di laboriosi eremiti e di illuminati sovrani, come nel caso dei Santi Felice e Mauro e del nobile Faroaldo II. Ma cosa hanno in comune due monaci siriani ed un nobile longobardo morto nel 728 d.c, al di là della fede cieca ed incondizionata nel Regno dei Cieli? Un percorso: quello dello Spirito, che conduce proprio a due Abbazie, perle dell’Umbria che tenteremo di raccontarvi nelle prossime righe.

L’Abbazia dei Santi Felice e Mauro: un’Abbazia tra le acque del Nera

Percorrendo la Strada Statale Valnerina, poco prima di Santa Anatolia di Narco, l’attenzione del viaggiatore viene richiamata da Castel San Felice, in origine insediamento eremitico poi divenuto castello a guardia del vicino ponte sul Nera. Ai piedi di Castel San Felice e di un’altura boscosa dalle forme materne, poggiata su prati che la cosparge, si erge l’Abbazia dei Santi Felice e Mauro, che spicca nel verde della valle col candore delle sue pietre. Il canto sommesso del Nera, che accarezza le fondamento dell’edificio, l’avvolge di frescura. Una pace serena si distende su tutto.

L’uccisione del drago, quando la leggenda diventa arte

L’Abbazia dei Santi Felice e Mauro, splendido esempio di romanico umbro, racconta e ricorda, nella sua essenziale monumentalità, le gesta dei monaci Mauro e Felice giunti dalla Siria sulle montagne dell’Umbria nel secolo VI secolo d.C. Nei pressi della primitiva “cella” monastica sorse sulla riva destra del Nera un monastero fondato da San Mauro, restaurato in occasione del Giubileo del 2000. La facciata della chiesa è in tre ordini sovrapposti: in basso, al centro del primo, si apre il portale a doppio incasso. Al centro del secondo ordine, separato dal primo da nove mensole, s’apre il rosone dentro un quadrato ornato negli angoli dai simboli degli Evengelisti, tipici del romanico spoletino. Sotto il rosone, corre il fregio in bassorilievo che racconta l’uccisione del drago.

Una scultura unica al mondo

A destra ed a sinistra del rosone, si aprono due finestre bifore con agili colonnine tortili. Su una serie di 17 archetti che decora la parte superiore del secondo ordine, poggia l’elegante timpano che reca, in alto, l’Agnus Dei, inserito in una conchiglia simbolo di rinascita e contrassegno degli insediamento monastici benedettini. Al centro, sopra l’Agnello crocifero, una grande rosa di rame, simbolo di sapienza e di amore. Il rosone, circondato da una cornice dentellata, è composto da colonnine doppie, affiancate sullo spessore, disposte in due cerchi concentrici. Nel cerchio più intenso, si aprono otto “petali”, sedici sull’esterno. La cornice del quadrato in cui si apre il rosone è decorata da un motivo a stelle.

L’Abbazia di San Pietro in Valle, una perla nel cuore della Valnerina “ternana”

Prima di giungere a Ferentillo, da Sambucheto una deviazione conduce all’Abbazia di San Pietro in Valle, una delle più antiche dell’Umbria, sorta in Val Suppegna, su un pianoro alle pendici del monte Solenne, nel cui in cui, nei secoli V-VI, vissero gli eremiti siriani Lazzaro e Giovanni. San Pietro, apparso in sogno al duca longobardo Faroaldo I, chiese che in quel luogo venisse edificato un monastero in suo nome. Circa mezzo secolo più tardi, Faroaldo II ricostruì ed ampliò il primo edificio ed il convento nel quale si ritiro a vita monastica sotto la regola benedettina: morto nel 728 il “Duca di Spoleto ed Abate di Cristo”, come amava definirsi, venne sepolto nei pressi del sepolcreto fondato dai due eremiti siriani Lazzaro e Giovanni. La chiesa di Faroaldo, distrutta dalle invasioni saracene, fu ricostruita ed ampliata nel 1016 assieme all’antico monastero e successivamente restaurata dall’imperatore Ottone III.

Sulle orme di magister Ursus

La pianta della chiesa, assurta a grande prestigio e potere ed affidata da Bonifacio VIII secolo al Capitolo Lateranense, è a croce commissa, con navata unica e tetto a capriate. Il transetto è formato da tre absidi: in quello di sinistra sotto l’altare, sono custoditi i resti dei due eremiti; in quello di destra, in un sarcofago del III secolo adornato da scene dionisiache e da grifi, riposa Farolado II. Le pareti della navata, affrescate intorno alla fine del XII secolo con scene tratte dall’Antico e dal Nuovo Testamento, costituiscono una delle più importanti espressioni d’arte romanica dell’Italia Centrale. Tra i monumenti di spicco presenti nella chiesa, vi è il paliotto in bassorilievo eseguito da magister Ursus per conto del duca di Spoleto Hilderico Dagileopa.

Dagli splendori del primo Medioevo al pontificato di Bonifacio VIII

L’Abbazia di San Pietro in Valle costituisce un punto nodale nell’evoluzione religiosa, sociale e politica della Valle del Nera. A somiglianza di altre abbazie della zona umbro-romana altrettanto importanti, come quella di Sant’Eutizio nella Valle Castoriana, ebbe un esteso patrimonio territoriale (ville, borghi, castelli molto dei quali controllavano strategicamente le vie di comunicazioni con Terni, Spoleto, la Sabina e le Marche) ed una grande influenza sulla vita del territorio ad essa soggetto dal sec.IX fino agli inizi del XIV secolo, quando fu riformata da Bonifacio VIII ed affidata al Capitolo Lateranense.

Paolo Aramini

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