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Censis. Gli italiani a tavola: nella spesa le differenze di ceto

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Si amplia il food social gap tra le famiglie a basso reddito e quelle benestanti. Nel periodo 2007-2015 la spesa alimentare è diminuita in media del 12,2%, ma nelle famiglie operaie è crollata del 19,4% e in quelle con a capo un disoccupato del 28,9%. Si rinuncia soprattutto alla carne, una volta simbolo del raggiunto benessere. Ma con meno carne, pesce, frutta e verdura aumentano i rischi per la salute degli italiani

Sono 16,6 milioni gli italiani che nell’ultimo anno hanno ridotto il consumo di carne, secondo una indagine del Censis. E 10,6 milioni hanno diminuito il consumo di pesce, 3,6 milioni la frutta e 3,5 milioni la verdura.

Con il minore consumo degli alimenti di base della buona dieta italiana, spesso sostituiti con prodotti artefatti e iper-elaborati a basso contenuto nutrizionale, si minaccia l’equilibrio delle diete quotidiane delle famiglie e si generano nuovi rischi per la salute.

Sono le famiglie meno abbienti a ridurre di più gli alimenti di base della buona dieta italiana. Nell’ultimo anno hanno ridotto il consumo di carne il 45,8% delle famiglie a basso reddito contro il 32% di quelle benestanti. Di carne bovina, il 52% delle prime e il 37,3% delle seconde. Per il pesce, il 35,8% delle meno abbienti e il 12,6% delle più ricche. Per la verdura, riducono il consumo il 15,9% delle famiglie a basso reddito e il 4,4% delle più abbienti. Per la frutta, il 16,3% delle meno abbienti e solo il 2,6% delle più ricche. Se nell’Italia del ceto medio vinceva la dieta equilibrata dal punto di vista nutrizionale disponibile per tutti, nell’Italia delle disuguaglianze il buon cibo lo acquista solo chi può permetterselo.

Spesa alimentare delle famiglie meno abbienti in picchiata: si allarga il food social gap. Nel periodo 2007-2015 la spesa alimentare delle famiglie italiane è diminuita in media del 12,2% in termini reali. Ma nelle famiglie operaie è crollata del 19,4% e in quelle con a capo un disoccupato del 28,9%. Ecco spiegato il food social gap: nella crisi il divario nella spesa per il cibo dei più ricchi e dei meno abbienti si è ampliato. Meno possibilità di spendere per scegliere il buon cibo, più tagli alla spesa. Le differenze a tavola diventano distanze e ormai fratture: si mangia quel che ci si può permettere, e il dibattito ideologico sul valore nutritivo degli alimenti è fuorviante.

Allarme carne: il crollo dei consumi minaccia la dieta mediterranea. Se nel periodo 2007-2015 la spesa alimentare è diminuita del 12,2%, quella per la carne è scesa del 16,1%. Nello stesso periodo in Europa solo i greci (-24%) hanno tagliato di più degli italiani (-23%) il consumo pro-capite annuo di carne bovina. Queste riduzioni intaccano consumi di carne che in Italia erano già inferiori agli altri Paesi europei. Infatti, gli italiani si collocano al terz’ultimo posto in Europa per consumo «apparente» (cioè al lordo delle parti non edibili) delle diverse tipologie di carne (pollo, suino, bovino, ovino) con 79 kg pro-capite annui, distanti da danesi (109,8 kg), portoghesi (101 kg), spagnoli (99,5 kg) e anche francesi (85,8 kg) e tedeschi (86 kg). Le lancette della nostra società rischiano di tornare indietro alla tavola per ceti, quando l’accesso alla carne era il segno di un raggiunto status di benessere. La dieta italiana, fatta di quantità adeguate di cereali, carne, pesce, frutta e verdura, olio d’oliva, formaggi, legumi, ecc., che ci ha portato ad essere uno fra i popoli più longevi al mondo, con un‘aspettativa di vita media di 85 anni per le donne e di 80 anni per gli uomini, rischia di sparire dal quotidiano delle nostre tavole.

Rischio salute dalla cattiva alimentazione. La riduzione del consumo di alimenti come carne, pesce, frutta e verdura minaccia l’equilibrio nutrizionale della dieta delle famiglie italiane, a lungo considerata nel mondo un modello a cui ispirarsi perché fondamento del mangiare equilibrato. E aumenta così il rischio di patologie. I tassi di obesità sono più alti nelle regioni con redditi inferiori e con una spesa alimentare in picchiata. Nel Sud, dove il reddito è inferiore del 24,2% rispetto al valore medio nazionale e la spesa alimentare è diminuita del 16,6% nel periodo 2007-2015, gli obesi e le persone in sovrappeso sono il 49,3% della popolazione, molto più che al Nord (42,1%) e al Centro (45%), dove i redditi medi sono più alti e la spesa alimentare ha registrato nella crisi una riduzione minore. Questi sono i principali risultati della ricerca del Censis «Gli italiani a tavola: cosa sta cambiando. Il valore sociale dell’alimento carne e le nuove disuguaglianze», presentata a Roma da Massimiliano Valerii, Direttore Generale del Censis, e discussa da Maurizio Martina, Ministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali, Giorgio Calabrese, Presidente del Comitato Nazionale Sicurezza Alimentare presso il Ministero della Salute, Massimiliano Dona, Segretario Generale dell’Unione Nazionale Consumatori, Marino Niola, Antropologo dell’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa, Roberto Moncalvo, Presidente di Coldiretti, e Luigi Scordamaglia, Presidente di Federalimentare.

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