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Deruta, “Ceramica & Cibo”: un passato illustre ed un futuro da inventare

deruta ceramica e cibo

E’ attualmente visibile a Deruta, fino al 30 Novembre prossimo, all’interno del Museo Regionale della Ceramica, la mostra “Ceramica & Cibo”, a cura di Giulio Busti.

Deruta è universalmente riconosciuta come uno dei più antichi e rinomati centri di produzione ceramica italiana, tanto che le prime testimonianze, risalenti alla metà del Trecento, parlano già di numeri consistenti, annoverando tra i “clienti” anche il Sacro Convento di Assisi. Il bello, qui in Umbria, è sapere che è possibile anche “vedere” quegli oggetti e l’uso che ne veniva fatto, grazie alle testimonianze iconografiche giunte fino a noi, come gli affreschi di Giotto e Duccio, nei quali, su tavole imbandite, gli oggetti in ceramica fanno bella mostra.

La qualità delle ceramiche derutesi è da sempre ben nota, tanto che alcuni pezzi sono visibili nei maggiori musei del mondo, dal Metropolitan di New York alla National Gallery di Londra, solo per citarne due.

L’argomento della mostra, il legame tra la ceramica ed il cibo, è quasi ovvio, il vasellame e gli oggetti da mensa e da cucina, fino al secolo scorso, erano pressoché tutti in ceramica o terracotta. Per inciso, molti oggetti di uso quotidiano, legati soprattutto alla nostra cultura contadina, sono visibili al Museo del Laterizio e delle Terrecotte di Marsciano, in una teoria di teche che, con immensa poesia, fanno riemergere un passato piuttosto recente, ma che sembra lontano anni luce.

ceramica e cibo
Caffettiera, Società Anonima Maioliche Deruta e CIMA, Perugia, 1947 ca.

Passato illustre, dicevamo, quello dei ceramisti derutesi, che hanno visto raggiungere il massimo del virtuosismo nei decori della loro produzione durante il Rinascimento, suggestionati ed ispirati dalle opere dei grandi maestri della pittura.

Se l’argomento della mostra è cosa nota, l’approccio è totalmente originale ed inaspettato: accanto ad una serie di pezzi di ceramiche da mensa (collocabili tra il XIV ed il XX secolo), facenti parte della collezione del museo, possiamo ammirare le reintepretazioni, da parte dei ceramisti derutesi di oggi, degli stessi oggetti, in chiave attuale. Il curatore ha inteso affidare a ciascun ceramista un pezzo antico al quale ispirarsi, con il compito di produrne uno nuovo di gusto contemporaneo, per far si che la ceramica derutese volgesse gli occhi al presente ed al futuro, cambiando senza snaturarsi, forte della sua antica tradizione.

L’intento, encomiabile, è stato di offrire l’opportunità agli artigiani di cimentarsi con una nuova dimensione del decoro ceramico che non sia la pedissequa riproduzione degli stessi (bellissimi) motivi che hanno reso famose le ceramiche di Deruta da seicento anni in qua. Sforzo inevitabile se si vuole rimanere competitivi in una realtà come quella attuale, che deve fare il paio con una “aggressione” del mercato univoca e coordinata, essendo ormai assodato che il singolo produttore non potrà mai dettare le regole in un mercato globale.

Nelle teche sotto i nostri occhi sfilano quindi piatti, alzate, zuppiere, boccali, caffettiere, coppe e salsiere, il pezzo antico affiancato alla produzione odierna.

In tutta onestà, non sembra che in tutti i casi l’esperimento abbia dato i risultati sperati. Sicuramente “spolverare” la superficie con un disegno già testato è molto più facile che produrne uno nuovo. Ciò che distingue l’artigianato dall’artigianato artistico è proprio questo: l’artigiano lavora solo con le mani ed è padrone della tecnica, chi sa, con gusto e fantasia, offrire qualcosa di originale e di buon gusto è già molto di più.

Non dubito comunque che, anche nei secolo d’oro, dei tanti che riprodussero il Perugino o Raffaello, solo i migliori siano poi stati presi ad esempio e ripetuti all’infinito.

Questo esercizio è quindi indispensabile e va ripetuto e sollecitato, fino a trovare il giusto garbo, il giusto codice, la giusta dimensione, ma una volta trovati non ci si deve adagiare, anzi, si deve continuare costantemente la ricerca, per non rischiare di essere già, di nuovo, inevitabilmente, troppo “agé”.

Come recita la caffettiera “omologa” di quella in locandina, in una sorta di elementare “confessione”: “La ceramica in questo momento è ferma alla riproduzione storica (Deruta) anche se molti ora sanno che non c’è più il mercato come prima e ci vuole fantasia…”.

Questa mostra, e soprattutto Giulio Busti ed il suo enorme amore per la ceramica derutese, hanno, tra gli altri, un grande pregio: segnare un inizio, una percezione del proprio oggi, che dia la possibilità di investire energie per inventare un nuovo ed entusiasmante domani.

di Benedetta Tintillini

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