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Mostre: a Gualdo Tadino “Arte e Follia. Antonio Ligabue-Pietro Ghizzardi”

leopardo ligabue arte e follia

E’ stata inaugurata a Gualdo Tadino, lo scorso 18 Aprile, la mostra a cura di Vittorio Sgarbi, “Arte e Follia. Antonio Ligabue-Pietro Ghizzardi”, presso la Chiesa Monumentale di San Francesco.

Ottanta opere – oltre cinquanta del maestro Ligabue – che raccontano un linguaggio espressivo unico e personale, al di là e al di fuori di scuole, di maestri e di modelli: una affabulazione concitata, metafora della loro difficile esistenza, dei loro sogni, dei loro desideri. Entrambi, senza allontanarsi dalle rive del Po, hanno saputo raggiungere vette altissime di espressività emergendo nel panorama dell’arte italiana del secondo Novecento.

La mostra è aperta dal martedì alla domenica e festivi. L’evento è promosso dal Comune di Gualdo Tadino, dal Polo Museale, dalla Regione Umbria, dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia, con il patrocinio del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo. Main sponsor Rocchetta. Consulenza scientifica Centro Studi e Archivio Antonio Ligabue.

Antonio Ligabue e Pietro Ghizzardi appartengono a una categoria di artisti che, pur nell’evidente individualismo e originalità, vengono spesso confusi con gli esponenti del mondo naïf o dei selvaggi.

Per quali opere conosciamo Ligabue? Lo conosciamo per i molti autoritratti in cui lui si percuote la tempia con atteggiamento autolesionistico, come quello di Van Gogh; ma, soprattutto, per il variegato mondo di animali.

Ligabue è pittore di animali di un mondo vicino, domestico e di cortile, ed è anche e soprattutto un pittore di animali esotici, trasportati in quella foresta che è cresciuta intorno al fiume, dove arrivano tigri mai viste, leoni mai visti o forse visti a Zurigo da ragazzo negli zoo. In realtà quegli animali descritti dai libri di Salgari, conosciuti attraverso le fotografie, Ligabue li immagina in una foresta vergine, una giungla che è in prossimità di Gualtieri, di Guastalla, sul Po. Proprio lì circolano tigri, leoni, serpenti a sonagli, animali, belve feroci, in un mondo in cui l’uomo è il più feroce di quegli animali.

Ghizzardi ha dipinto quasi sempre figure solitarie, e ha descritto la preponderanza emotiva e sensuale che è il corpo della donna. Intervistato, davanti ai suoi quadri dichiarava: “Questa bella donna è stata una mia pretendente”. Lui si riteneva preteso, si riteneva appetito, desiderato. Nei suoi dipinti, uomini e donne, non tanto per il corpo sensuale e qualche volta deforme, ma per il volto, fra tenerezza, rabbia, malinconia e perfino vendetta, rappresentano ogni sentimento umano.

La potenza di Ghizzardi è di non proiettare sui suoi ritratti i propri sentimenti, ma di leggere negli uomini e nelle donne i sentimenti, le debolezze, le fragilità, i desideri, e porli davanti a noi perché essi possano dialogare con noi. Questa è la forza della sua opera. Ed è proprio complementare a quella di Ligabue. (tratto da “Arte e Follia” di Vittorio Sgarbi)

Due straordinari protagonisti dell’arte della seconda metà del XX secolo messi a confronto per individuarne le caratteristiche peculiari, godere della genialità emozionante del linguaggio pittorico assolutamente originale e personale, ma anche di cogliere il clima del loro tempo. Due artisti che hanno rappresentato il Novecento mediopadano con aria allucinata, senso della natura, adesione ad una umanità al limite della sopravvivenza materiale e spirituale, ma capace di una strenua lotta, anche quando appariva perduta nelle nebbie della follia.

In mostra 54 opere di Ligabue e 26 di Ghizzardi attraverso le quali sarà possibile ripercorrere la loro vicenda individuale, il loro personalissimo mondo creativo, unici nel loro genere e contemporanei sia nel limite ristretto di una topografia padana di pianura inventata e riscritta dal lavoro dell’uomo e nello stesso periodo storico.

Entrambi hanno conosciuto la marginalità sociale, le difficoltà dell’esclusione e della povertà, la modestia di una formazione e di un bagaglio culturale che li obbligava a cercare in se stessi i motivi per un’iconografia che ricostruisse il loro mondo fantastico, permettesse loro di comunicare con gli altri, raccontassero le emozioni più profonde ed autentiche.

Entrambi hanno quindi creato un linguaggio artistico assolutamente personale, al di là ed al di fuori di scuole, di maestri e di modelli. Entrambi hanno raggiunto vette di altissimo livello per cui si possono oggi considerare, a pieno titolo, maestri geniali dell’arte del XX secolo.

Augusto Agosta Tota, presidente del Centro Studi & Archivio Antonio Ligabue di Parma e ambasciatore nel mondo del pittore di Gualtieri che promuove sin dagli anni Settanta, oggi, dopo la pubblicazione, assieme a Marzio Dall’Acqua, del Catalogo Generale in due volumi dell’opera di Pietro Ghizzardi, come per Ligabue, si pone come punto di riferimento per l’immagine di questo straordinario artista.

Antonio Ligabue – Biografia

18 dicembre 1899 – Antonio Ligabue nasce a Zurigo da Elisabetta Costa, originaria di Cencenighe Agordino, località in provincia di Belluno. È registrato anagraficamente come Antonio Costa.

settembre 1900 – Antonio viene affidato a una coppia di svizzeri-tedeschi, Elise Hanselmann e J. V. Göbel. La sua lingua madre diverrà il tedesco. Non verrà legittimata la sua adozione, ma il bambino si legherà moltissimo alla matrigna, con un rapporto di amore e odio.

18 gennaio 1901 – Bonfiglio Laccabue, emigrato in Svizzera dal Comune di Gualtieri, sposa ad Amrisweil Elisabetta Costa e il 10 marzo successivo legittima il piccolo Antonio dandogli il proprio cognome, che poi il pittore, divenuto adulto, cambierà in Ligabue.

1910/12 – La famiglia Göbel è a Tablat, nel circondario di S. Gallo. Qui Ligabue frequenta le scuole e arriva a superare solo la terza elementare.

17 maggio 1913 – Entra nell’istituto di Marbach, un collegio per ragazzi handicappati. Si segnala subito per l’abilità nel disegno e per la cattiva condotta.

maggio 1915/17 – Viene espulso da Marbach. Ha completato la quarta elementare. Si trasferisce con la famiglia adottiva a Staad dove inizia a fare il contadino. Lavora saltuariamente e conduce una vita girovaga.

18 gennaio – 4 aprile 1917 – Viene ricoverato nella clinica psichiatrica di Pfäfers. L’internamento è dovuto a una crisi violenta nei confronti della madre adottiva.

15 maggio 1919 – Ligabue viene espulso dalla Svizzera, su denuncia della madre adottiva. La donna, trovando il giovane indifferente e scostante nei suoi confronti, era andata al Municipio di Romanshorn per lamentarne la condotta, senza rendersi conto delle conseguenze che il suo gesto avrebbe prodotto.

9 agosto 1919 – Scortato dai carabinieri arriva in Italia, a Reggio Emilia; fugge, tentando di espatriare e arrivare in Svizzera, ma viene riportato a Gualtieri. Qui vive grazie al soccorso del Comune, di ciò che gli invia la matrigna svizzera e della carità dei compaesani. Inizia a lavorare come “giornaliero”. Conoscendo solo la lingua tedesca, si intrattiene con gli ex-emigranti dei paesi germanici. Già allora disegna. Lavora fino al 1929 presso gli argini del fiume Po.

1927-28 – Inizia a dipingere e a scolpire con l’argilla più assiduamente. In quell’anno viene avvicinato dallo scultore Marino Mazzacurati.

14 luglio 1937 – Viene internato nel manicomio di S. Lazzaro di Reggio Emilia. La diagnosi d’ingresso è “stato depressivo”. In dicembre viene dimesso e rimandato a Gualtieri.

23 marzo1940 – Secondo ricovero nell’ospedale psichiatrico di Reggio Emilia per “psicosi maniaco-depressiva”.

16 maggio 1941 – Lo scultore Andrea Mozzali si assume la responsabilità di far uscire Ligabue dall’ospedale psichiatrico e di ospitarlo nella propria casa a Guastalla.

13 febbraio 1945 – Terzo internamento nell’ospedale psichiatrico di Reggio Emilia. Il ricovero è determinato dall’aver percosso con una bottiglia un soldato tedesco. La reclusione in casa di cura lo salva da sicure e gravi punizioni.

6 dicembre 1948 – Viene dimesso dall’ospedale. Trova rifugio nel ricovero di mendicità di Gualtieri. Continua a dipingere e lentamente la sua fama si diffonde. Dal ricovero si allontana spesso; si fa ospitare a casa di amici. I critici, i galleristi incominciano ad interessarsi vivamente delle sue opere.

febbraio 1961 – Mostra delle opere di Ligabue a Roma.

novembre 1962 – A Guastalla (RE) gli si dedica un’ampia antologica.

18 novembre 1962 – Viene colpito da paresi. Dopo vari ricoveri in diversi ospedali, viene inviato infermo al ricovero Carri di Gualtieri.

27 maggio 1965 – Muore al ricovero Carri di Gualtieri.

 

Pietro Ghizzardi – Biografia

Mantovano di origine, Ghizzardi nasce alla Corte Pavesina di San Pietro di Viadana il 20 luglio 1906, nel pieno dei lavori agricoli. La famiglia Ghizzardi si sposta in poderi posti nelle provincie di Mantova, Cremona e Reggio Emilia, in un nomadismo scandito dal rinnovo dei patti agrari di mezzadria. Nel 1933 il padre Antonio muore e Pietro è spesso in conflitto con il fratello Marino, che ha assunto le funzioni di capofamiglia. Nel 1947 muore anche il fratello, e Pietro rimane con la madre, che avrà sempre un atteggiamento molto protettivo verso il figlio al punto da impedirgli di avere una vita affettiva autonoma. Pietro lavora duramente nei campi, perduto dietro alla meraviglia per la natura e all’incanto di una interiorità che sognava la bellezza. Irregolare la frequenza delle scuole, per cui ha ripetuto sia la prima che la seconda elementare, non completando la terza.

Nel 1951, durante la grande inondazione del Po, Pietro rimane isolato nella casa circondata dalle acque con la madre. È allora che da autodidatta incomincia – riprendendo una passione giovanile che era stata a lungo frustrata dai familiari – a dipingere cartoni con immagini di donne che sognava, di attrici di cui ruba i volti dai manifesti cinematografici e dai rotocalchi per attaccarli ad uso di collage minimali. Questo mondo erotico si arricchisce con le immagini dei santi, dei personaggi della storia presi da libri scolastici, di figure più o meno leggendarie.

Usa carbone, fuliggine, tizzoni e colori naturali, ricavati con misture di bacche colorate, terre ed erbe. La necessità di usare prodotti naturali fece parte della sua concezione di vita che ha anticipato in lui, mite, dolce e quieto, la consapevolezza di temi di rispetto per l’ambiente e la natura, che si ritrovano anche nei suoi scritti, rispetto all’ambientalismo e all’ecologismo posteriori al suo modo di rapportarsi con le cose.

Dal 1957 si dedica completamente alla pittura. Del 1961 è il primo riconoscimento a Guastalla e una sua opera vince una medaglia d’oro.

Nel 1968 riceve la medaglia d’oro del Presidente della Repubblica al Premio Nazionale di Arti Naïves di Luzzara, fondato da Cesare Zavattini. Nel 1969 dipinge casa Falugi, già Soliani – Pini, villa in Boretto dove fu ospitato per tutta l’estate.

Nel 1977 vince il Premio letterario Viareggio con l’opera prima Mi richordo anchora, edita da Einaudi, a cura di Giovanni Negri e Gustavo Marchesi.

Nel 1980 Vanni Scheiwiller pubblica A Lilla Quattro pietre in mortalate, a cura di Giovanni Negri e Gustavo Marchesi, un lungo testo dedicato ad una delle sue cagnette morta travolta da un camion, che diventa un’ampia e drammatica invettiva, contro la meccanizzazione e il progresso insensato.

Il personaggio Ghizzardi attira diversi registi cinematografici che gli dedicano alcuni documentari: del 1963 è un film documento di Michele Gandin dal titolo Ghizzardi pittore contadino per l’Istituto Luce Cinecittà – Roma.

Nel 1978 per il ciclo “Le memorie e gli anni”, a cura di Guido Levi la prima rete RAI TV mise in onda Mi richordo anchora. Conversazione con Pietro Ghizzardi per la regia di G. Vittorio Baldi.

Muore a Boretto, Reggio Emilia il 7 dicembre 1986. La casa nella quale visse gli ultimi anni è divenuta dal 1992, con la pubblicazione del primo quaderno, a cura di Marzio Dall’Acqua, che conteneva la biografia del pittore, una Casa museo intitolata, come il pittore aveva voluto, “al Belvedere”.

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