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Libri, recensioni: D’Ark, il gioco dell’alfiere

d'ark il gioco dell'alfiere

Un noir con un punto di rosa è D’Ark Il gioco dell’alfiere, il romanzo scritto da Cristina Silvestri e Mirela Minkova Georgieva ed edito da Planet Book.

Il rosa non è nella trama ma nelle giovani autrici, una napoletana ed una bulgara entrambe laureate in Scienze dell’Investigazione e la Sicurezza, studi che hanno sicuramente dato un particolare ed originale taglio investigativo alla narrazione.

In D’Ark Il gioco dell’alfiere, il narratore ci introduce nella immaginaria città di Rocha, una metropoli dove un’apparente vita che scorre tranquilla cela intrighi, interessi torbidi e malaffare; come la Gotham City di Batman afferma la quarta di copertina, ma, diremmo, purtroppo non tanto lontana dalla nostra quotidianità, ricordando un po’ con la sua struttura e cesura tra bene e male la suddivisione romana tra “il mondo di sopra” ed il “mondo di sotto”.

Due realtà parallele che, in un certo qual modo, riflettono le due parti nelle quali è suddivisa l’opera. La prima dedicata ed incentrata sulla figura di una donna: Giorgia Mestri, di professione profiler.

Una donna quindi, come le autrici, ed una professione che non è di quelle canoniche presenti nei racconti gialli. Il profiler infatti, anche da qui l’impronta che connota la preparazione accademica delle autrici, è il professionista che svolge indagini allo scopo preciso di tracciare un profilo psicologico e comportamentale dell’autore di un crimine. Nel nostro caso siamo di fronte ad un serial killer che si firma Guignol, il cui nome è ispirato dal teatro parigino Grand Guignol, diventato sinonimo di macabro. Lo scopo delle indagini di Giorgia sarà quindi quello di capire i comportamenti del “cattivo” allo scopo di riuscire, ove possibile, a prevenire le sue mosse.

Il tempo di affezionarsi alla figura di Giorgia e, repentinamente, oggetto e soggetto della narrazione è Michele Mestri, fratello di Giorgia. Michele è un giornalista, irreprensibile ed amante della verità come la sorella.



Il narratore, esterno alla vicenda, si limita a descrivere sommariamente i luoghi ed a seguire, insieme al lettore, lo svolgimento della vicenda che si snoda con la presenza evanescente, che compare solo in background, del famigerato D’Ark, uno, o più di uno, benefattore della società, che cerca di salvare quanto di buono resiste e persiste nella società di Rocha.

Colpi di scena, cambi repentini di “inquadratura”, per usare un termine cinematografico, spiazzano apparentemente ma, al tempo stesso, rivelano nuovi dettagli e nuove chiavi di lettura al lettore al quale, in un’atmosfera, verrebbe da dire, effettivamente “dark”, le autrici sapientemente illuminano brandelli di verità per condurlo pian piano alla conclusione.

Ruoli, professioni, comportamenti dei personaggi potrebbero dare il “la” a molte discussioni, una su tutte sulla condizione e professione del giornalista, che sovente può ritrovarsi a dover sopravvivere tra deontologia e pressioni, convinzioni e necessità, al tempo stesso succube e dominatore del potentissimo quinto potere.

Dicotomia costante tra bene e male, tra D’Ark e Guignol, tra Giorgia e Michele, tra i punti di vista, tra luce e buio, tra le due parti del romanzo: tutto è duplice, come la realtà.

Benedetta Tintillini

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