Lucio Corsi: La musica è il mio modo di sognare ad alta voce

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Lucio Corsi si racconta: tra spie che fischiano, glam rock e la magia dell’immaginazione, il live è il suo habitat naturale

«Salire sul palco è come prendere un trampolino verso un’altra realtà. Lì sopra riesco davvero a immaginare di essere qualcos’altro». Con questa frase, quasi rubata a un sogno a occhi aperti, Lucio Corsi racconta il senso più profondo della sua musica. Non una semplice sequenza di canzoni, ma un’esperienza visionaria, un linguaggio fatto di suoni, immagini e alterità.

Trentuno anni, originario di Val di Campo di Vetulonia, in Maremma, Corsi ha iniziato come chitarrista in band locali prima di trasferirsi a Milano, dove ha intrapreso un percorso solista segnato da una poetica personale e fuori dagli schemi. A pochi giorni dall’inizio del suo Club Tour 2025, già tutto esaurito, Corsi non parla solo di palchi e dischi, ma del modo in cui la musica, per lui, diventa un modo per stare al mondo diversamente.

“Inseguire le canzoni è la cosa che amo di più”

«Inseguire le canzoni di città in città è senza dubbio la cosa che amo di più, è quello che sognavo da bambino», confessa. E oggi, dopo la pubblicazione del nuovo album “Volevo essere un duro” – uscito il 21 marzo per Sugar Music e subito balzato nella Top Album Debut Global di Spotify – quel sogno sembra aver trovato pieno compimento. A febbraio, la sua partecipazione al Festival di Sanremo lo ha visto tra i grandi protagonisti, con un secondo posto e il Premio della Critica “Mia Martini”. A maggio rappresenterà l’Italia all’Eurovision Song Contest di Basilea.

Ma al di là delle tappe e dei riconoscimenti, Lucio è rimasto un artista con i piedi scalzi nella terra di casa e la testa tra le stelle. Lo si sente nei suoi dischi, che raccontano animali, sogni, buio e paesaggi interiori, e lo si vede nei suoi live, che definisce «un rito libero, non una replica del disco».

“Le spie che fischiano fanno parte dello show”

Il suo approccio alla musica dal vivo è istintivo, viscerale, volutamente “imperfetto”: «Preferisco le spie agli in-ear. L’esibizione vive di aria, non di bolla. Se le spie fischiano va bene lo stesso: è parte dello spettacolo. Anzi, ci costruisco sopra, è il bello del live».

Sul palco lo accompagneranno i suoi compagni di liceo, una formazione di sette musicisti con un assetto da rock band anni ’70: «Chitarre, organo, batteria, cori. Io mi muoverò tra chitarra elettrica, acustica, pianoforte e armonica. Sarà tutto riarrangiato, molto rock’n’roll». E se il suo ultimo disco riflette un’ossessione per l’immaginario glam, dai testi che dialogano con il sogno alle sonorità sature e teatrali, è nel live che quella dimensione si fa corpo e vibrazione.

“La musica non è status: è trasformazione”

Non c’è niente di plastificato nel mondo di Lucio Corsi. Ogni parola che dice sembra uscire da un racconto, ogni canzone è un piccolo cortometraggio – non a caso i suoi videoclip, spesso in collaborazione con Tommaso Ottomano, sono vere e proprie opere d’arte. Anche nel recente video di “Tu sei il mattino”, dove appare Carlo Verdone, c’è la stessa tensione tra ironia, sogno e malinconia che attraversa tutta la sua poetica.

«Il palco è l’unico posto dove posso davvero lasciarmi andare – afferma – Come dice Paolo Conte in Alle prese con una verde milonga, lì si incontra davvero la musica».

Lucio Corsi non si limita a scrivere canzoni: costruisce mondi. E quei mondi, sempre in equilibrio tra sogno e realtà, trovano la loro massima espressione nei concerti. «Questa è la linea da seguire: suonare il più possibile, ovunque, con tutti gli strumenti che servono per far girare la musica nell’aria».

E se anche dovesse fischiare una spia, sappiate che non è un errore, ma una finestra che si apre su un altro universo.

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