Site icon Umbria e Cultura

Perugia, Nefrologia al collasso: un disastro vissuto sulla mia pelle

giuseppe ruberti nefrologia week surgery ospedale di perugia

Ebbene si, Umbria e cultura ha “bucato” la notizia: la Nefrologia di Perugia è scivolata in pochi anni dall’eccellenza all’emergenza, e la sottoscritta, fino ad ora, per rispetto di chi in quel reparto si sacrifica per tante ora al giorno, per il dubbio su come approcciare il problema che, sicuramente, ha tanti risvolti che sfuggono a me e agli altri “utenti” e che poco hanno a che fare con la professione medica tout-court, per il timore di aggravare una situazione già tangibilmente precaria, la sottoscritta appunto, che ormai ha eletto da venticinque anni il reparto di Nefrologia sua seconda casa, non ha mai accennato su questo giornale alla grave situazione che stiamo attraversando.

Ma ora che sia la carta stampata, sia le testate web hanno “ufficializzato” la notizia, posso dare la mia testimonianza (dal punto di vista del paziente, ovviamente) di come siano peggiorati i servizi offerti dal reparto nonostante, ripeto, gli enormi sforzi di chi in quel reparto lavora.

La prima volta che sono piombata in Nefrologia, nel 1997, nonostante lo choc dell’approccio in emergenza, ho trovato uno stuolo di medici preparati, guidati da un illustre primario, ed un reparto di eccellenza che incrementava di anno in anno il numero di trapianti eseguiti, di pari passo con la sempre più crescente coscienza collettiva riguardo al tema della donazione di organi.

Quei medici mi hanno accompagnato per molti anni lungo il travagliato cammino della malattia cronica, con rigidi intervalli scansionati dalle visite di controllo, insieme a tanti altri pazienti che arrivavano anche da molto lontano.

Improvvisamente, nel giro di poco tempo, TUTTI quei medici sono andati in pensione, lasciando il posto a pochi, giovani colleghi. Ultimo baluardo della vecchia guardia l’attuale primario del reparto, encomiabile nello sforzo di voler migliorare le condizioni dei pazienti nonostante tutto remi al contrario: sono saltati tutti gli schemi, i pazienti trapiantati come me, che hanno bisogno di un costante controllo al fine di poter, in caso di situazioni di pericolo per il rene trapiantato, per la salute o per la vita, avere un intervento immediato, che prima era garantito, non sono più seguiti come protocollo vuole. Ciò è un enorme danno non solo per salute del paziente, ogni trapianto ha un costo elevato, un costo che paga tutta la comunità, ed è quindi interesse di tutti fare in modo che ogni organo possa durare il più possibile, interesse, perché no, anche economico.

Ho visto con i miei occhi (ahimé in recenti ricoveri) infermiere provenienti da altri reparti lavorare per oltre dodici ore in Nefrologia e scusarsi perché, probabilmente, alla dodicesima ora la lucidità cominciava a mancare, stessa lucidità che viene richiesta ai cinque medici rimasti (incluso il primario) al posto dei tredici presenti negli “anni d’oro”. Ho chiesto informazioni, mi si dice che è stato indetto un concorso per assumere altri tre medici, i giorni e i mesi passano, e nulla succede, in un ambiente di lavoro sempre più inasprito dalla condizione attuale, dove gli operatori dovrebbero lavorare, invece, nella massima serenità.

Ma perché è successo tutto questo? Cui prodest? Interesse o incapacità? Il dubbio, scusate, a me sorge spontaneo e tale, credo, rimarrà.

Tengo a sottolineare che mi ritengo una privilegiata, perché sono seguita da una dottoressa speciale che antepone la sua professione, che davvero è una missione, ad ogni altra cosa, che non ha orari, che cerca di essere sempre presente, non importa se di turno o meno e che, cosa non scontata, anche il primario non lesina mai il suo tempo per chiarire dubbi, illustrare progetti, seguire i pazienti, per non parlare delle infermiere che ci hanno “adottato” e che sono per noi insostituibili. Noi malati cronici siamo assaliti da dubbi, timori, sovente non ci sentiamo bene, e sapere che si può contare sempre sul proprio medico e i propri punti di riferimento aiuta molto il proprio equilibrio psicologico, costantemente messo alla prova dagli imprevisti della salute.

Leggo che, probabilmente, Perugia non sarà più neanche un centro trapianti: che spreco di esperienza che nessuno ha saputo, o voluto, raccogliere… e che amarezza per chi ha affidato, e affida ciecamente, la sua vita ai medici di questo reparto, medici che non sono sempre in grado, è un dato di fatto, di visitare i pazienti come me, anche se colpiti gravi problemi di salute.

Ora spero di “bucare” un’altra notizia, ma che sia buona, spero di leggere che chi ha il potere di invertire questa tendenza, ci sarà pure chi questo potere lo detiene, si decida a muoversi finalmente e a porre al primo posto la salute di chi in Nefrologia ci lavora e di chi, per tutta la vita, a questo reparto è legato indissolubilmente.

Benedetta Tintillini

Exit mobile version