Racconto: “Grazie Mr. Brahms”

il pianista

di Carmen Toscano

 

Rannicchiato nel suo misero giaciglio non si accorgeva dello scorrere del tempo ma se ne accorse quando provò a muoversi. Le sue gambe erano completamente intorpidite, doloranti, sia per la prolungata immobilità e per il gran freddo che gli era penetrato nelle ossa rendendole due stampelle di legno. Fece grandi sforzi e incominciò a muoverle per potersi alzare e procurarsi del cibo, aveva tanta fame, non si ricordava più l’ultima volta che aveva fatto un dignitoso pasto caldo.

Si alzò,  ma era molto doloroso stare in piedi, aveva crampi dappertutto, tuttavia  si mosse lentamente, con passi leggeri e felpati per non fare rumore.

La casa, una villa signorile, in un quartiere di tedeschi ariani, era immersa nel silenzio più assoluto, era disabitata da parecchi giorni, da quando i proprietari l’avevano abbandonata in gran fretta a causa dei bombardamenti aerei degli inglesi o magari per trasferirsi in un’altra dimora più sicura. Mentre faceva queste riflessioni, decise, pur terrorizzato di essere scoperto, di esplorare la casa per tentare di trovare un pò di cibo. Si era rifugiato in soffitta fra stracci, cartoni, vecchi mobili rotti e sedie sgangherate, incominciò a scendere dalla scaletta che era appoggiata al soppalco e cercando di farla scricchiolare il meno  possibile,  si ritrovò in un lungo corridoio buio che conduceva alle varie camere da letto: continuò a scendere giù per gli scaloni di marmo che lo portarono in un grande salone gelido immerso nell’ombra, ma chiaramente sfarzoso, cortine di broccato alle finestre, mobili pregiati, quadri impreziositi da sfarzose cornici, tutto testimoniava che era una casa di persone ricche, particolare che Heinrich conosceva bene, perchè l’aveva frequentata da bambino in quanto amico di Friedrich.

Incominciò a guardarsi intorno e improvvisamente trasalì, non si era accorto che una grande specchiera d’epoca rimandava la sua immagine, si guardò e vide in che stato era ridotto, in così poco tempo di latitanza, era sporco, i capelli arruffati, i vestiti laceri, le unghie  nere, le  mani  dalle lunghe dita affusolate arrossate e bluastre, gli occhi pieni di lacrime, faceva proprio schifo, era ridotto come un topo di fogna, come poteva pensare mai di andare a cercare aiuto fuori da quella casa, sarebbe stato subito arrestato dai tedeschi che perlustravano Berlino, continuamente alla ricerca di ebrei. No, non doveva uscire allo scoperto per nessun motivo anche a costo di morire di fame, tanto sarebbe morto comunque per una raffica di mitra alla schiena, sparata dalla prima pattuglia che sicuramente avrebbe incontrato!

Einrich Muller, si era presentato come ogni sera, puntuale ed elegantissimo nel suo abito da sera, nel ristorante, estremamente raffinato, quasi esclusivamente frequentato da alti ufficiali della Wehrmacht, da commandi delle  SS e comunque dal fior fiore della gente berlinese che ogni sera animava le serate di questo prestigioso ritrovo.

L’orchestra era al suo posto e incominciava a suonare le trascinanti ballate ungheresi,  i waltzer di Strauss e le immancabili musiche tedesche, tra cui, ancora oggi, l’indimenticabile, canzone simbolo della Germania nazista‘’Lilì Marlene” cantata, tanto languidamente, dalla cantante dell’orchestra. Anche lui, il pianista più famoso della città,  era già seduto, al suo sgabello, davanti al pianoforte. All’improvviso si spalancò la porta, una folata di vento gelido investì gli astanti  ed irruppe rumorosamente  un drappello di ufficiali della Gestapo che urlando all’unisono ordinarono: ‘’ Schnell! Schnell! Fuori tutti gli ebrei, sporchi topi di fogna, uscite fuori se non lo fate sarà ancora peggio per voi, si tratta solo di pochi minuti vogliamo solo controllare i vostri documenti! Se non lo farete spontaneamente,vi staneremo e vi faremo fare un bel viaggetto sui nostri camion verso il campo di concentramento più vicino, ovviamente l’ordine vale anche per gli ebrei dipendenti che lavorano qui, cuochi,  camerieri, musicisti!

Tutti ammutolirono e un silenzio glaciale si diffuse nell’aria, la cantante aveva smesso di cantare, l’orchestra aveva smesso di suonare.

Tutti eseguirono l’ordine impartito senza fiatare, uno ad uno,  incominciarono a presentarsi ai militari, tutti gli ebrei presenti all’interno del locale con in mano i loro documenti, mostrandoli con solerzia, con fare ossequiososo e con mani tremanti, tenendo testa e occhi bassi in modo da non incrociare lo sguardo dei  militari  che già, con l’imponenza che gli proveniva dall’inquietante divisa impeccabile da SS, incuteva terrore.

Il direttore del ristorante, Herr Wilhelm Kaufmann tentò di perorare la causa dei suoi dipendenti, ma, l’ufficiale tedesco, senza neanche dargli il tempo di finire il suo discorso, lo schiaffeggiò ripetutamente con il suo guanto, sfilato all’uopo!  Herr Kaufmann si ritirò senza aggiungere altro. I musicisti anch’essi ebrei compreso il pianista, furono invitati  cortesemente, col gesto della mano, a continuare a suonare per intrattenere come di consueto, i commensali.

Agli ebrei  fu ordinato di uscire, furono caricati sui camion militari e di loro non si seppe più nulla. Con ordine perentorio il capitano Friedrich Wasserman ordinò al pianista di seguirlo nelle cucine e con gesto veloce infilò nella tasca dell’amico ebreo un biglietto e sfoderando la sua pistola dalla fondina, sparò un colpo in aria, facendo  capire all’amico di scappare dalla porta sul retro. Così Heinrich fece, e corse facendosi scoppiare il cuore. L’ufficiale, rientrò nella sala con una faccia inflessibile e con gesto lento rinfoderò la pistola, ancora fumante. Scappò senza indugio fino a farsi scoppiare il cuore e quando si ritenne abbastanza lontano da quel posto, prese a camminare più velocemente possibile, sia per sentire meno freddo, sia  perchè dopo quanto accaduto, aveva un cattivo presentimento, qualcosa gli diceva dentro che doveva far presto, arrivare a casa e avvertire i suoi genitori e i fratelli che un grave pericolo incombeva su tutti loro.

Pochi isolati  ormai lo separavano dalla sua abitazione e con il bavero del cappotto tirato su fino alle orecchie per il gran freddo e per la gran quantità di neve che ricopriva ancora le strade di Berlino, intravide la sua casa, ma il cuore gli scoppiò di dolore  alla vista della camionetta delle SS sulla quale  venivano spinti a salire, a forza, sua madre, Ester, suo padre, Herbert Muller, ferito alla fronte, che tentava  comunque di tenerla vicino a sè e infine lo strazio di vedere la sorellina, Miriam, che piangente si aggrappava alle sottane della mamma. Il primo istinto fu quello di tentare qualcosa per salvarli ma suo padre che lo aveva avvistato con uno sguardo  intenso e disperato gli intimò di non farsi catturare. Con gli occhi pieni di lacrime, non fece nulla e nascosto dietro l’albero che c’era dietro la sua casa  li vide partire: non li avrebbe rivisti più.

Realizzò immediatamente che anche lui era nell’elenco dei ricercati, quindi prima o poi, se fosse rientrato a casa, sarebbe stato arrestato. Ma dove andare? Preso dal panico incominciò a scorrere mentalmente l’elenco delle persone vicine alla sua famiglia o tra i suoi amici, conoscenti o colleghi di lavoro che avrebbero potuto aiutarlo a nascondersi. Purtroppo si trattava, nella maggior parte di gente ariana che in caso di pericolo non avrebbero mai corso il rischio di essere denunciati per aiutare un ebreo. No! L’istinto gli suggerì di non fidarsi e quindi non si sarebbe rivolto a nessuno. Aveva, subito dopo la fuga,  letto il biglietto che gli aveva messo in tasca l’ufficiale tedesco, ancora suo amico nonostante tutto, nel quale c’era scritto: La mia casa è disabitata, nasconditi lì! Ti porterò da mangiare. Seguiva l’indirizzo.  Decise di fidarsi. Era stato suo compagno di giochi. Non l’avrebbe tradito.

Da lontano vide i giardini pubblici e pur conoscendo il divieto per gli ebrei di entrarvi, oltre a quelli di non poter camminare sul marciapiede e quello di non salire sui tram, e di non poter frequentare i locali per i tedeschi ariani, vi entrò lo stesso e si sedette con fare distratto su una panchina: doveva perdere tempo per trascorrere la giornata e  per non rischiare di essere notato doveva restare lì, fino a sera e solo allora muoversi, in attesa di raggiungere la villa dell’amico nazista..

Casualmente sulla panchina, qualcuno aveva lasciato un giornale, lui lo prese per darsi un’aria distratta e nel contempo impegnata e scrutando sempre i viali per essere sempre pronto alla fuga e restare sempre all’erta fece finta di leggerlo.

Appena calarono le prime ombre della sera si mosse e camminando velocemente non si accorse di una piccola buca sul terreno, vi inciampò e cadde disteso senza che lo potesse evitare: il risultato fu che s’infangò dalla testa ai piedi  tentò di ripulirsi in qualche modo e continuò a camminare per raggiungere la periferia della città e precisamente, strano a dirsi si diresse verso la tana del lupo, aveva deciso di accettare l’offerta dell’amico tedesco, il capitano Fredrich Wasserman, quindi si diresse verso la sua  casa di cui conosceva bene l’indirizzo, per esserci stato tante volte in passato. La riconobbe subito, varcò il cancello aperto e si diresse all’ingresso; la porta era chiusa, per niente scoraggiato ruppe con una pietra il vetro di una finestra che si affacciava sul giardino e guardandosi intorno, con circospezione, non senza fatica, vi saltò dentro.

Era infreddolito, senza forze, non mangiava da parecchie ore! C’era un silenzio surreale, nessuno in vista, solo macerie! Era stanchissimo aveva esaurito le sue pochissime forze, decise di scendere al piano di sotto per tentare di trovare qulcosa da mangiare e per tentare di darsi una ripulita. Perlustrò tutto il pianterreno, il salone, la cucina, i ripostigli, ogni angolo della casa, alla fine si arrese, non trovò nulla, non gli rimaneva che aspettare, almeno aveva un tetto sopra la testa che gli evitava  il freddo intenso, la neve e la pioggia sottile che penetrava nelle ossa. Decise di risalire in soffitta e di rimanere sdraiato sul suo ciaciglio, in attesa di chissà   quali eventi  a lui favorevoli. Stava per risalire i tanti gradini dello sfarzoso scalone di marmo che un rumore proveniente dall’esterno lo raggelò: era il rumore di un motore d’auto che si arrestava davanti alla casa, si girò e vide un alto ufficiale tedesco che avanzava spedito lungo il vialetto fino all’ingresso. Fu preso dal panico dilaniato dal dubbio… tentare di nascondersi? Oppure presentarsi con le mani alzate e sperare nella fortuna che l’intruso fosse il suo amico Friedrich? No! Non poteva essere lui, come avrebbe potuto sperare che un tedesco, con le leggi restrittive e le varie proibizioni tra cui non aiutare in qualunque modo gli ebrei, rischiasse di incappare nell’accusa di alto tradimento soprattutto se quest’ultimo proveniva da un alto gerarca! Non lo riconobbe! No, non era il suo amico! Era perduto, la sua fine era imminente, non avrebbe avuto mai il tempo, lento e debole com’era, di risalire le scale velocente, l’uomo era già all’ingresso, quindi decise di affidarsi alla sorte e sicuramente interrogato avrebbe detto la verità. Sapeva quanto i tedeschi odiassero le bugie! Si girò e alzando  le mani in segno di resa, avanzò lentamente, rassegnato ormai al suo destino. Halt! Gridò l’uffiaciale stringendo la sua pistola d’ordinanza in pugno, e aggiunse: ‘’Chi sei? Che ci fai a casa mia?Conosci la pena per i disertori ? O peggio, sei forse un ebreo che scappa? E mentre il tedesco continuava a parlare Heinrich, fece un passo in avanti e si mostrò completamente, uscendo dalla penombra dove aveva tentato di nascondersi. L’uomo si presentò:” Io sono il capitano Friedrich Wassermann, come hai potuto profanare la mia casa con la tua lurida presenza? Disse sprezzante!- Il poveretto, tremante di paura come di chi  è cosciente di essere alla fine della sua esistenza, fece mezzo passo in avanti e disse: Mi chiamo Einrich Muller sono sfuggito alla cattura per miracolo, ero al mio posto di lavoro,  sì, sono ebreo, per parte di madre, mio padre è tedesco ariano, la mia famiglia è stata arrestata!  – Heinrich, sei tu! Heinrich Muller, credevo che non saresti venuto a casa mia a nasconderti” Vieni fuori, ti puoi fidare! L’ebreo sospirò ed irruppe in un pianto disperato. ‘’Grazie per avermi salvato la vita ma non so più niente della mia famiglia, dei miei genitori, dei miei fratelli e di Miriam mia sorella, se sono vivi o morti! -‘’Non posso aiutarti, credimi! Ho già rischiato tanto con quella falsa fucilazione, per fortuna ci hanno creduto tutti, ti ritengono morto! Disse l’ufficiale con un tono serio e quasi commosso  della voce. Siamo tutti ormai in balia degli eventi e della follia che si è imposessata degli uomini! Io spero che tu non dimenticherai il mio gesto, qualcosa mi dice che presto avrò io, bisogno del tuo aiuto! E voltandosi verso il pianoforte maestoso che troneggiava all’estremità del salone disse: Suona per me ! Non importa che cosa, ma suona! Cancella dalla mia anima, con la tua sublime musica la lordura che l’ha sporcata per sempre! Einrich, trascinando i piedi, avanzò verso il pianoforte e sistematosi sullo sgabello girevole, appoggiò le mani sulla tastiera. Portava ancora dei guanti di lana laceri, lentamente se li sfilò e le dita affusolate incominciarono a produrre i primi suoni. L’ufficiale si sedette su una poltrona, incrociò le mani sulle ginocchia e si preparò ad ascoltare, qualcosa gli diceva che avrebbe assistito ad un grande concerto. Fin da subito il suo udito fu accarezzato da suoni melodiosi e armonici che ben presto si diffusero in tutta la casa facendola rivivere e vibrare di grandi emozioni  già vissute  nel passato. Le mani di Einrich, dapprima come incerte, con il progredire della composizione, lavoravano sulla tastiera con grande maestria e competenza. Stava eseguendo la Sonata in Fa#min di Brahms e  la sua esecuzione risultò superba. Così la giudicò l’ufficiale che, alzatosi in piedi, alquanto  emozionato,  applaudì a lungo e con voce rassicurante gli disse: ‘’Sei un mirabile artista, che diritto ho io di sottrare al mondo un grande musicista come te? Non preoccuparti, stai pure nascosto a casa mia, spero di incontrarti dopo la guerra. Stasera ti porterò da mangiare. Non uscire fuori per nessun motivo, non farti vedere da nessuno e… non suonare!  Andò via senza aggiungere altro.

La musica aveva fatto il suo miracolo e Heinrich mentalmente ringraziò Brahms!

 

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