Ricerca: Giallo su evoluzione Vaiolo, nuovi indizi da ceppo del 17esimo secolo

vaiolo

L’Organizzazione mondiale della sanità lo ha dichiarato eradicato nel 1980. Ma il vaiolo resta un rebus scientifico che ancora oggi diversi team di ricercatori nel mondo stanno tentando di sciogliere: è giallo sull’età della malattia, sulle sue origini e soprattutto sull’ ‘orologio’ della sua evoluzione. A riaccendere un dibattito di vecchia data è uno studio pubblicato sulla rivista ‘Current Biology’, che solleva nuove domande sul ruolo che il vaiolo può aver giocato nella storia umana e su quando il virus che lo ha causato – Variola – è emerso per la prima volta e più tardi si è evoluto in risposta alla vaccinazione.

Al centro della ricerca un ceppo del 17esimo secolo recuperato dai resti (parziali) mummificati di un bambino lituano: l’analisi genetica suggerisce che l’agente patogeno, responsabile prima di essere sconfitto con la vaccinazione di milioni di morti nel mondo, potrebbe non essere una malattia antica, ma un ‘killer’ molto più moderno di quanto si pensasse. Lo studio è frutto del lavoro di squadra di un team internazionale di ricercatori della canadese McMaster University e degli atenei di Helsinki, Vilnius e Sydney, che hanno indossato i panni degli ‘archeologi in camice’ per un salto indietro nel tempo.

Il vaiolo è stato una delle malattie virali più devastanti che abbia mai colpito l’umanità, e a lungo si è pensato che fosse apparso nell’uomo migliaia di anni fa in Egitto, India e Cina. Alcuni resoconti storici suggeriscono che fra le sue ‘vittime illustri’ ci fosse il Faraone Ramses V, morto nel 1145 a.C.. Nel tentativo di comprendere meglio la sua storia evolutiva, e dopo aver ottenuto l’autorizzazione dell’Oms a Ginevra, gli scienziati hanno estratto il Dna molto frammentato dai resti mummificati di un bambino lituano che si ritiene sia morto tra il 1643 e il 1665, periodo in cui diverse epidemie di vaiolo sono state documentate in tutta Europa con livelli di mortalità in aumento. E’ stato così catturato, sequenziato e completamente ricostruito, il Dna del vaiolo, uno dei più antichi genomi virali ad oggi.

Nel campione non c’era alcuna indicazione di virus vivi e quindi i resti non sono infettivi, precisano gli esperti che hanno confrontato e contrapposto il ceppo del 17esimo secolo a quelli di una banca dati moderna di campioni risalenti agli anni che vanno dal 1940 fino alla sua eliminazione nel ’77. Sorprendentemente, sottolineano i ricercatori, il lavoro dimostra che l’evoluzione del virus del vaiolo è avvenuta molto più recentemente di quanto si pensasse: tutti i ceppi disponibili del virus hanno un antenato non più ‘vecchio’ del 1580.

“Gli scienziati non hanno ancora pienamente compreso da dove il vaiolo sia venuto e quando ha fatto il salto negli esseri umani”, spiega il genetista evolutivo Hendrik Poinar, autore senior dello studio e direttore del McMaster Ancient Dna Centre. “Ora questa ricerca imposta l’orologio dell’evoluzione del vaiolo su una scala temporale molto più recente – osserva il biologo evoluzionista dell’università di Sydney, Eddie Holmes -. Anche se non è ancora chiaro quale animale sia il vero serbatoio del virus, e quando per la prima volta ci sia stato il salto di specie che lo ha portato all’uomo”.

I ceppi virali che rappresentano il vero serbatoio per il vaiolo umano rimangono attualmente non campionati. Sia il virus del più vicino gerbillo che quello del cammello sono ‘parenti’ molto lontani e, di conseguenza, non sono i probabili antenati del vaiolo umano, il che suggerisce che il vero serbatoio non sia ancora stato identificato o si sia estinto.

I ricercatori hanno anche scoperto che il virus del vaiolo si è evoluto in due ceppi circolanti, Variola major (altamente virulento e letale) e minor (responsabile di una forma più benigna), dopo che il medico inglese sviluppò un vaccino nel 1796. Le due forme sperimentarono un importante ‘collo di bottiglia’ con l’aumento delle attività di immunizzazione a livello globale.

La data dell’antenato del ceppo minore corrisponde con la tratta atlantica degli schiavi che, ipotizzano gli esperti, fu probabilmente responsabile per la parziale diffusione in tutto il mondo. “Ciò solleva importanti domande su come un agente patogeno si diversifica a fronte della vaccinazione. Il vaiolo è stato eradicato nell’uomo, ma non possiamo lasciar correre sulla sua evoluzione – e su un eventuale rischio di riemersione – fino a quando non comprenderemo appieno le sue origini”, conclude Ana Duggan, McMaster Ancient Dna Centre.

Se la data del progenitore, circa 1580, preclude la massiccia distruzione delle popolazioni indigene in America centrale per il vaiolo introdotto dagli spagnoli, rimane discutibile. I ricercatori devono quindi esaminare attentamente i resti di persone sepolte in fase epidemica in America centrale e meridionale, dicono gli scienziati. “Questo lavoro – avverte Margaret Humphreys, storica della medicina alla Duke University – sfuma il confine tra malattie antiche e infezioni emergenti. Gran parte dell’evoluzione del vaiolo è apparentemente avvenuta nel tempo storico”.

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