Rieti ricorda Elettra Pollastrini scomparsa il 2 febbraio 1990

elettra pollastrini

Elettra Pollastrini nacque a Rieti il 15 luglio 1908 da Guido e da Giuseppa Arcieri. A Rieti una strada e la sezione dell’Anpi portano il suo nome. Per seguire il padre, impiegato presso l’Ufficio ipoteche e destinato a nuova sede, la famiglia di Elettra si trasferì poco dopo ad Ancona, dove la bambina fu ricoverata nel locale orfanotrofio Giuseppe Garibaldi.

Due anni dopo i Pollastrini presero residenza a La Spezia, dove Elettra compì gli studi tecnici. Morto il padre, la situazione economica della famiglia si fece difficile e nel 1923 il fratello Olindo (nato a Rieti nel 1902), emigrò in Francia, anche perché, militando nel Partito socialista italiano, era stato fatto oggetto di violenze da parte di squadre fasciste. Dopo aver trovato lavoro alla Renault, Olindo invitò le due donne a raggiungerlo. Nel novembre 1924 anche Elettra venne assunta nella stessa fabbrica come ‘perforatrice’, ma già nel 1926 (o al più tardi agli inizi del 1927) venne licenziata per aver partecipato allo sciopero indetto dal sindacato. Dopo aver lavorato in altre due aziende nei dintorni di Parigi, nel 1930 trovò impiego come correttrice di compiti d’italiano, presso l’École universelle par correspondance, dove, almeno ufficialmente, lavorò sino al 1938.

Attraverso il fratello, che dal 1924 aveva aderito al Partito comunista italiano (PCI), Elettra Pollastrini iniziò a frequentare gli ambienti degli esuli comunisti e qui fu reclutata da Teresa Noce (Estella). Nel 1932 aderì alla Lega internazionale delle donne per la pace e la libertà, e nel 1933 si iscrisse al Partito comunista francese (nei gruppi di lingua italiana). Nell’agosto 1934 prese parte come delegata al Congresso mondiale contro la guerra e il fascismo, tenutosi a Parigi.

Strinse amicizia con Maria Luigia Nitti, figlia maggiore dello statista Francesco Saverio, a casa del quale per un periodo fu anche occupata come cameriera. Questa sua frequentazione, insieme alla relazione con un altro esule antifascista, Virgilio Marchetto (socialista massimalista), con cui Elettra Pollastrini visse dal 1932 al 1939, destò i sospetti della polizia italiana, che iniziò a compiere indagini su di lei, riuscendo anche ad acquisire, grazie a una delazione, una sua fotografia ripresa da un giornale comunista, e che venne acclusa alla Rubrica di frontiera dove, dal marzo 1937, era segnalata per l’arresto. Erano gli anni di un suo crescente impegno nel movimento antifascista: nel 1935 frequentò una scuola di partito e con lo pseudonimo di Myriam iniziò a collaborare al neonato mensile La voce delle donne, che avrebbe mutato l’anno dopo il nome in Noi donne. Anche su questa rivista scrisse alcuni articoli, firmandosi Myriam e anche Miriam Arcieri, abbinando allo pseudonimo il cognome della madre.

Molto attiva nella propaganda contro l’invasione italiana dell’Etiopia e a sostegno della Repubblica spagnola, nel 1937 fece parte di una delegazione internazionale femminile che portò gli aiuti raccolti in Spagna, e in tale occasione partecipò al primo congresso delle donne antifasciste svoltosi a Barcellona nel novembre 1937. Rientrò in Francia agli inizi del 1938, nonostante fosse stata dichiarata «indesiderabile» dalle autorità francesi. Oltre a collaborare all’organizzazione dei comitati femminili dell’Unione popolare italiana (organismo fondato nel marzo 1937 e diretto da Romano Cocchi, con cui Pollastrini era in stretto contatto), iniziò a lavorare al quotidiano la Voce degli italiani come stenodattilografa e traduttrice. Allo scoppio della guerra e dopo la firma del patto Ribbentrop-Molotov, come molti altri comunisti venne arrestata dalla polizia francese (settembre 1939) e rinchiusa nel carcere femminile della Roquette a Parigi. Il 17 ottobre 1940 fu quindi trasferita nel campo di concentramento di Rieucros (Mande-Lozère), dove ritrovò molte compagne di lotta, come Teresa Noce, Baldina Di Vittorio, figlia di Giuseppe, e la nuova compagna di questi, Anita Contini.

Nel gennaio 1941 fu trasferita a Marsiglia, poi tradotta a Mentone, e consegnata in aprile alle autorità italiane, che provvidero immediatamente al suo arresto e al trasferimento nelle carceri di Rieti. Qui le fu diagnosticata una tubercolosi, motivo per cui, dopo alcuni mesi nel sanatorio antitubercolare di Pescina (Aquila), quando fu dimessa nell’agosto del 1941 non fu inviata nelle usuali colonie confinarie, ma assegnata al confino a Rieti presso una parente. Nonostante la sorveglianza riprese subito l’attività politica clandestina. Già nell’ottobre 1942 dovette scontare cinque giorni di carcere per non essere rientrata all’ora prescritta durante la libertà vigilata, ma senza che nulla fosse scoperto a suo carico. Nell’ottobre 1943, invece, fu sorpresa dalla polizia tedesca a Roma mentre trasportava chiodi a quattro punte per rifornire le formazioni partigiane. Arrestata e incarcerata a Regina Coeli, fu processata dal tribunale militare tedesco nel gennaio del 1944 e condannata a tre anni di lavori forzati da scontarsi in Germania. Fu deportata nel carcere femminile di massima sicurezza di Aichach (Alta Baviera), dove furono poi inviate altre due ragazze della resistenza romana, Enrica Filippini Lera e Vera Michelin Salomon, arrestate nel febbraio 1944 (furono nove le italiane costrette in quel carcere). Dopo venti mesi di lavori forzati, durante i quali Elettra Pollastrini subì dure punizioni, fu liberata il 28 aprile 1945 con l’arrivo delle truppe alleate.

Rientrata in Italia, fu nominata dal PCI alla Consulta nazionale. Nello stesso tempo fu assessore all’assistenza del Comune di Rieti. Il 2 giugno 1946 fu eletta nelle liste del PCI all’Assemblea costituente nel collegio di Perugia. Responsabile femminile della Federazione comunista di Rieti, membro del comitato federale e del comitato direttivo, fu eletta deputato, sia nel 1948 sia nel 1953, per il collegio di Perugia-Rieti. La sua attività parlamentare denota l’attenzione e l’amore per la terra che le aveva dato i natali, ma nella quale aveva vissuto poco. Nel 1956 fu eletta anche consigliere provinciale a Rieti e fece parte della segreteria della Federazione comunista cittadina. Il suo carattere, definito da alcuni modesto e al tempo stesso determinato, è ben testimoniato dalle dodici richieste di autorizzazione a procedere che collezionò nel corso dei due mandati parlamentari, per lo più per resistenza e oltraggio alla forza pubblica, per aver partecipato al fianco di lavoratrici e lavoratori a manifestazioni per il lavoro e la pace, ma anche per aver difeso, durante la campagna elettorale del 1948, la sua dignità di donna, rispondendo ‘per le rime’ a un prete che per zittirla le disse che «per le pollastre ci vuole il gallo». Negli stessi anni partecipò a vari congressi internazionali, tra cui, nel febbraio 1946, al I congresso internazionale degli ex deportati politici nei campi nazisti; nell’agosto 1947 fece parte della delegazione dell’Unione donne italiane (UDI) che visitò l’Unione Sovietica; nell’aprile 1949 a Parigi partecipò al congresso costitutivo del Movimento dei partigiani della pace, di cui divenne dal 1950 al 1954 responsabile a Rieti. Al termine del mandato parlamentare, nel 1958, fu inviata in Sicilia a sostenere la locale commissione femminile del PCI. Poco dopo si trasferì in Ungheria, dove lavorò come giornalista per cinque anni a Radio Budapest. Tornata in Italia, continuò a partecipare alla vita politica, prima nella Federazione comunista romana e poi a Rieti, pur senza assumere incarichi. Morì a Rieti il 2 febbraio del 1990.

Giuseppe Manzo

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