Michele Riondino strepitoso Woland ne “Il Maestro e Margherita”

il maestro e margherita

di Benedetta Tintillini

Standing ovation al Teatro Cucinelli di Solomeo dove ha debuttato in anteprima nazionale “Il Maestro e Margherita”, la nuova produzione del Teatro Stabile dell’Umbria, ispirata al celebre romanzo di Michail Afanas’evič Bulgàkov, con il contributo speciale della Brunello Cucinelli SpA per la regia di Andrea Baracco.

L’inquietante Woland, interpretato da uno strepitoso Michele Riondino che molto ricorda il Joker di Heath Ledger, irrompe negli ambienti intellettuali della Mosca atea degli anni ’30 insieme al suo strambo seguito costituito da Behemoth il gatto parlante (interpretato da Giordano Agrusta), il valletto Korov’ev (Alessandro Pezzali) ed la strega Hella (Carolina Balucani).

Come nel libro, due sono i piani narrativi che si intrecciano: la storia d’amore fra il Maestro (Francesco Bonomo) e Margherita (Federica Rosellini) nella Russia della prima decade del ‘900 ed i fatti accaduti a Gerusalemme nel 33 d.C. culminati con la condanna di Gesù (Oskar Winiarski) da parte di Ponzio Pilato.

Altri interpreti (ci piace citarli tutti per la loro bravura): Caterina Fiocchetti, Michele Nani, Francesco Bolo Rossini, Diego Sepe.

Un sapiente gioco di porte dal ritmo incalzante permette i pirotecnici cambi di scena, dove Woland ed il suo seguito incontrano i tanti protagonisti, sfortunati e miseri come tutto il genere umano. Grandi prove d’attore da parte di tutti gli interpreti che hanno tenuto costantemente alto il ritmo psichedelico della pièce, in bilico tra tensione e commedia mentre pochi, azzeccatissimi dettagli riescono a restituire anche le scene più complesse aggiungendo una sorta di poesia talvolta, o di ulteriore suggestione.

Bene e male, colpa e innocenza, razionale ed irrazionale, illusione e verità tutti i temi che l’uomo cerca di studiare, catalogare, inquadrare: progetto destinato al fallimento data la piccolezza dell’essere umano al confronto dell’immenso Mistero. Qui la necessità del soprannaturale, anche demoniaco: Satana si trova a perorare la causa del suo antagonista affermando l’esistenza di Dio, senza il quale neanche lui potrebbe esistere: non c’è ombra senza luce. Non è affatto scontato che scegliere il “bene” sia la scelta migliore: il Maestro e Margherita trovano riposo grazie a Woland che rinfaccia al suo antagonista il dolore degli esseri umani che rifuggono il dono della vita.

“Il vecchio castello” tratto dalla suite “Quadri di un’esposizione” di Modest Petrovič Musorgskij è il sottofondo musicale che accompagna le apparizioni di Woland, ed in scena ci vengono offerti alla contemplazione veri e propri quadri: come una splendida deposizione con il corpo di Cristo adagiato ed illuminato esattamente come un quadro rinascimentale, ulteriore suggestione nell’accavallarsi di input ricevuti dallo spettatore.

Sympathy for the Devil dei Rolling Stones accompagna i saluti finali, pezzo che ha subìto l’influsso dell’opera di Bulgakov come molte altre produzioni del ‘900. In effetti, nonostante l’estrema inquietudine che Woland suscita quando guarda ad uno ad uno negli occhi il pubblico affascinato, non si può negare che, nonostante la sua crudeltà, una qualche simpatia la susciti, oltre al fascino del proibito al quale nessuno, lungo l’arco della sua esistenza, ha saputo, o voluto, resistere.

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