È stato approvato dal Senato, lo scorso 3 ottobre, il Testo Unico n. 302 sul riconoscimento della Lis.
La LIS (Lingua dei Segni Italiana) è la lingua usata dalle persone sorde ed è un sistema comunicativo che sfrutta il canale visivo-gestuale che risulta integro nelle persone Sorde. Questa approvazione, da tutti i non addetti ai lavori, viene considerata una buona cosa ma per chi la sordità la vive tutti i giorni le cose sono diverse, così una delegazione di giovani sordi della Fiadda Umbria (Famiglie Italiane per la difesa dei diritti delle persone audiolese) e della Sezione di Roma, si è recato alla Camera dei Deputati per esprimere la propria posizione rispetto a questo Testo Unico. I ragazzi hanno spiegato con chiarezza e determinazione cosa vuol dire essere sordi oggi, alla luce dei tanti progressi fatti dalla tecnologia. Infatti, ora, un bambino che nasce sordo o con carenze uditive può tornare a sentire attraverso impianti cocleari e protesi, che non eliminano l’handicap, ma non necessitano di un linguaggio come la LIS ovvero di un linguaggio dei segni perché, con i dovuti accorgimenti, i ragazzi sentiranno. “Come spesso accade – hanno spiegato i giovani di Fiadda – chi non si ritrova a contatto con le persone interessate, difficilmente può comprendere o immaginare quale sia la situazione attuale sulla sordità. Abbiamo pensato quindi di farci conoscere in prima persona, raccontando parte del nostro vissuto e di come siamo arrivati ad essere oggi persone autonome e indipendenti nonostante la nostra condizione.
Per raggiungere ciò, sono stati fondamentali l’impegno delle nostre famiglie, una diagnosi precoce, la protesizzazione o interventi di impianto cocleare, ed un percorso di abilitazione al linguaggio verbale in condizione di parità con i coetanei. Questi passaggi però non sono resi disponibili a tutti nelle stesse modalità in tutto il territorio nazionale. È di questo che secondo noi si dovrebbero occupare le istituzioni, e far sì che la sordità diventi sempre di più sostenibile per tutti onde evitare condizioni di handicap, date le grandi possibilità che ci sono attualmente. I nostri pensieri non vogliono andare contro chi si trova nel bisogno di usare il Lis come modalità per comunicare, ma si tratta solamente di rendersi conto che noi non ci sentiamo di appartenere ad una minoranza linguistica o ad una comunità dei sordi. Per noi la comunità in cui viviamo è quella italiana, ci sentiamo semplicemente dei cittadini di questo paese, alcuni di noi affermano persino di sentirsi parte del mondo, l’unico mondo che ci accomuna tutti, non ne esistono altri. Proprio per questo vanno trovate soluzioni universali, come ad esempio può essere la sottotitolazione nei programmi televisivi.
Perché, se oggi, ma già da diversi anni, ci sono le possibilità per raggiungere l’autonomia, dobbiamo ancora trovare delle figure professionali che devono parlare al posto nostro con il inguaggio dei gesti? Per chi è abituato a ragionare per numeri allora si deve rendere conto che sono i numeri a parlare. Noi invitiamo tutti coloro che sono interessati ad approfondire la situazione, a venire a conoscenza dei casi di persone con sordità che oggi sentono e parlano, e sono inclusi nella società senza bisogno di intermediari ed interpreti. Le nostre difficoltà maggiori sono state quelle di accettazione della propria condizione e quella di riuscir ad includersi nella società di tutti. Non crediamo che sia utile formare altro personale che sappia la lingua dei segni o etichettare i ragazzi con problemi uditivi come “sordomuti” in modo tale che abbiano bisogno di interpreti. Non sarebbe meglio utilizzare le risorse per dare la possibilità ai ragazzi non udenti di tornare a sentire?”.
Donatella Binaglia