Usa, la sfida culturale della tribù indiana Cahuilla

tribù cahuilla

Non hanno il fascino dei Cheyenne, dei Navajo, degli Apache o dei Sioux ma i Cahuilla fanno parte dello stesso universo dei cosiddetti “pellerossa” o “native americans” nel rugginoso lessico politicamente corretto, e condividono lo stesso drammatico “Trails of tears”, il sentiero della lacrime, il drammatico percorso storico segnato dalla marcia verso l’Occidente statunitense delle tribù pellebianca.

Ora è un periodo di festa per i Cahuilla, comunità stanziata nel sud della California, 1600 individui divisi in nove riserve nella zona di San Diego. Anche loro sono stati prima perseguitati e poi sconvolti dalla cultura e dalla società statunitense. Le tradizioni ancestrali si sono rifugiate nelle festività scandite da un tempo immemorabile a cui oggi possono partecipare anche i turisti. Un altro malinconico segno dei tempi.

Questa volta si celebra la festa dell’agave, pianta fondamentale per le tribù che vivono in ambienti semi aridi. L’agave ha infatti molti usi. Dalle foglie, ricche di fibre, si produce un tessuto molto resistente mentre dalla pianta si ricavano bevande come il pulque e la tequila. La fibra, la sisal, estratta dalle foglie, è utilizzata per la costruzione di corde, cesti, tappeti e altri manufatti artigianali mentre gli estratti della pianta sono utilizzati nella farmacopea indiana per guarire le ustioni.

Un migliaio di Cahuilla si sono riuniti nella riserva di Banning, ma solo una decina parla l’antica lingua cerimoniale, impiegata anche per la danza della pioggia e su cui molto si è ironizzato dato che il significato eminentemente spirituale è andato perduto negli alambicchi grossolani e saccenti della stupidità intelligente che caratterizza l’uomo moderno.

Educare le famiglie statunitensi alle meraviglie e ai misteri della cultura antica è la sfida non facile di questa compatta comunità Cahuilla. “Tutti credono che non esistevano indiani in questa regione, spiega un anziano della tribù. Questo è il nostro modo di ricordare la verità, che ci siamo ancora e che vogliamo mantenere le nostre tradizioni”.

 

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