Greenpeace denuncia i finanziamenti alle fonti fossili di Intesa Sanpaolo

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Lo scorso 18 febbraio attivisti e attiviste di Greenpeace sono entrati in azione in Via Giuseppe Verdi a Milano, presso una delle sedi di Intesa Sanpaolo, per denunciare i finanziamenti che il gruppo finanziario italiano continua ad elargire alle fonti fossili. In particolare, l’organizzazione ambientalista chiede di fermare subito i finanziamenti alla multinazionale indiana Adani, tra le compagnie più inquinanti al mondo, che sta portando avanti il progetto di sfruttamento del giacimento minerario Galilee in Australia, una vera e propria bomba climatica.

Gli attivisti di Greenpeace hanno aperto uno striscione sulla facciata della sede di Intesa Sanpaolo con il messaggio “Basta soldi al carbone – L’Australia brucia”, evidenziando la pericolosità di nuovi piani di sfruttamento di una fonte fossile che ha effetti devastanti sul clima del Pianeta, come dimostra la situazione che vive proprio l’Australia. A settimane di incendi devastanti, alcuni non ancora completamente domati, in alcune aree dell’Australia è subentrata una alluvione che ha messo in ginocchio aree già duramente colpite dai recenti eventi estremi. Attivisti e attiviste hanno inoltre allestito una mostra con alcune delle immagini degli impatti degli incendi avvenuti in Australia nelle scorse settimane.

Il progetto più controverso di Adani in Australia si chiama Carmichael e prevede la realizzazione di quella che diventerebbe la più grande miniera di carbone a cielo aperto australiana, una tra le più estese al mondo. Adani vorrebbe estrarre 60 milioni di tonnellate di carbone all’anno per sessant’anni: una volta bruciato, questo carbone provocherebbe il rilascio nell’atmosfera di 4,6 miliardi di tonnellate di CO2. Oltre agli impatti sul clima, la miniera minaccia inoltre di danneggiare ulteriormente la Grande Barriera Corallina, a causa dei lavori di espansione delle infrastrutture portuali necessari a consentire l’aumento dei volumi di commercio. Il costo complessivo dell’opera è stimato intorno agli 11 miliardi di euro, ma l’intensa campagna di pressione internazionale su banche e assicurazioni ha reso estremamente difficile per Adani trovare i capitali necessari.

Quasi 40 tra le principali banche al mondo hanno escluso il loro coinvolgimento nel finanziamento diretto al progetto Carmichael, ma molte di queste continuano a prestare soldi ad Adani. Tra loro c’è anche Intesa Sanpaolo, che ha concesso alla multinazionale indiana due prestiti del valore complessivo di 78 milioni di euro. Purtroppo, è noto come Adani abbia finanziato la propria espansione attraverso prestiti e investimenti intra-societari, per cui parte di questi 78 milioni potrebbero finire proprio nel progetto Carmichael.

«In un periodo così delicato, gli investimenti degli istituti finanziari giocano un ruolo fondamentale nell’accelerare o contrastare la crisi climatica, e Intesa Sanpaolo al momento si trova decisamente dalla parte sbagliata della barricata», dichiara Luca Iacoboni, responsabile campagna energia e clima di Greenpeace Italia. «L’istituto finanziario italiano dichiara investimenti nelle fonti verdi, ma al contempo continua a finanziare carbone, gas e petrolio, primi colpevoli dell’attuale crisi climatica. Chiediamo al gruppo torinese di chiudere con quelle aziende, come Adani, che stanno mettendo a rischio il nostro stesso Pianeta», conclude Iacoboni.

Lo scorso giugno, l’istituto francese Credit Agricole ha compiuto un passo importante in questa direzione, ovvero lo stop completo agli investimenti nelle società che intendono espandere il carbone, Adani inclusa. Tra le principali banche mondiali, Intesa Sanpaolo rimane invece una delle pochissime a non avere ancora adottato nessuna politica di restrizione dei finanziamenti alle fonti fossili.

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