Pomodori della Tuscia: visita all’azienda di Filippo Levantesi

pomodori della tuscia

Passare per le terre scure della tuscia Montaltese è uno spettacolo per gli occhi. E quando ci si sofferma su una distesa di rosso e verde, ovvero una immensa coltura di pomodori l’oro rosso della Tuscia” si arriva dritti dritti da Filippo Levantesi, un imprenditore agricolo di Montalto di Castro che “parla ai pomodori…”.

Non ridete! Perché non tutti riescono a ricavare per ogni ettaro: 1300 quintali.

In punta di piedi entriamo nel suo mondo e lui ci apre gentilmente la porta della sua azienda. Venite con noi…

Filippo, raccontaci un po’ della storia dei pomodori da conserva che tu da generazioni produci.

La raccolta dei pomodori, fino agli anni ‘90, veniva fatta manualmente e servivano tanti operai per lavorare i campi, noi li chiamavamo ‘squadre’. Poi sono arrivate le macchine raccoglitrici che necessitano di massimo 5 operai.

Da dove veniva la manodopera?

Nei primi del ‘900 gli operai venivano dai paesi interni della Turscia come Valentano e Canino in particolare a comporre le squadre erano le donne perché gli uomini avevano il loro lavoro e le donne stagionalmente andavano a raccogliere i pomodori per far studiare i propri figli.

E dopo, cosa è successo?

Le operaie sono andate in pensione e i figli che hanno fatto studiare sono andatati a ricoprire posti negli uffici, da qui l’arrivo degli stranieri, prima egiziani e del Maghreb, poi è arrivata l’onda dei rumeni, gente capace, che dopo aver guadagnato un po’ di soldi hanno aperto aziende proprie. Arrivati ai giorni nostri si rileva in agricoltura un grave problema occupazionale.

Ho detto in precedenza che tu parli ai pomodori… ci sveli il tuo segreto?

Io ce l’ho nel sangue il pomodoro, ho un dialogo importante con questo frutto e i risultati si vedono; infatti, rispetto a una media nazionale di 800 quintali di raccolta a ettaro, io riesco a realizzare 1300 quintali a ettaro. La pianta è un essere vivetene che ha una difficoltà in più: non può spostarsi a differenza degli animali che, se fa caldo, si spostano all’ombra. Alla luce di questo devi creare per loro un ambiente favorevole al massimo, sia dentro che fuori dalla terra.

Come?

Irrigando molto e scegliendo la varietà giuste di pomodoro. Niente è casuale! Ogni risultato che arriva ci si domanda come è successo? Come si può migliorare? Si studia e si migliora.

Quanto conta il clima mite di Montalto di Castro?

Il clima montaltese è ottimo, anche se in questo ultimi anni ci stiamo tropicalizzando tutti e al pomodoro non piace il caldo.

Che voto daresti alla passata di pomodoro italiana?

Un otto. Mediamente è molto buona. Facciamo l’esempio del mio pomodoro: lo raccolgo alle 8 del mattino, viene trasportato, e in tarda serata diventa già passata di pomodoro. La filiera corta è segno di altissima qualità, il prodotto non si deteriora e rende al massimo, ovvero dal campo alla scatola o bottiglia in poche ore.

La politica europea incide molto sulle scelte in agricoltura. In bene o in male?

C’è un mostro burocratico che passa sopra a tutto. Io sono un agricolture tradizionale e credo nella scienza, che va sempre verso prodotti per trattare il pomodoro sempre più sicuri.  Ora si sta facendo largo questa “follia” che mette al bando tutti i tipi di trattamenti. Ti dico in confidenza che con le piogge primaverili e il clima  diverso che ormai ci accompagna, io non so quanto raccolto avrei fatto quest’anno se non avessi curato le mie piante. La politica di lasciar fare il mercato, legata a domanda, offerta e prezzi che si adeguano, non vale perché il mercato è mondiale. Se io produco meno pomodori (perché non uso prodotti chimici) dovrei venderli a un prezzo più alto, ma in Marocco ne producono molti perché usano fitofarmaci e allora si abbassa il prezzo. Risultato: meno guadagno, meno lavoratori impiegati e aziende in crisi.

Donatella Binaglia

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