Todi Festival. Serra Yilmaz è Grisélidis, il coraggio di essere donna

griselidis serra yilmaz

di Benedetta Tintillini

 

Dentro una gabbia. Serra Yilmaz si muove all’interno di una gabbia. Una gabbia simbolo dei pregiudizi, o delle etichette che tanto ci piacciono. Etichettare una persona è l’atteggiamento più comodo e tranquillizzante che possa anestetizzare il nostro spirito critico: etichettare una persona ci autorizza a distaccarci da essa, a riconoscerci differenti, a farci sentire a posto con la nostra coscienza.

La Yilmaz dà corpo e voce, in occasione dello spettacolo inaugurale della trentunesima edizione del Todi Festival, alla testimonianza di Grisélidis Réal, prostituta e scrittrice nata nella ligia e composta svizzera, dove a lungo si è battuta per una migliore condizione di vita per lei e le sue colleghe. A dirigere l’attrice, affiancata dal sax solista di Stefano Cocco Cantini che ha eseguito dal vivo musiche originali, il regista colombiano Juan Diego Puerta Lopez.

Niente toni drammatici o rabbiosi, la recitazione di Serra Yilmaz è calma e pacata, è la voce di chi, con la consapevolezza dell’esperienza, parla della vita nella sua disarmante semplicità, senza buoni o cattivi, senza giudici e giudicati, senza nascondersi dietro falsi moralismi: riflessioni che, ogni donna, probabilmente, ha il coraggio di fare solo tra sé e sé.

Sarebbe alquanto riduttivo, a mio avviso, ridurre la pièce all’esperienza dell’autrice dai cui scritti ed interviste lo spettacolo è tratto, relegandola al suo “mestiere”, Grisélidis è una donna che impone a tutte le donne di guardarsi onestamente allo specchio.

Entra quindi in gioco prima di tutto la figura della madre con la rigida educazione religiosa alla quale sottopose la figlia, a fin di bene sicuramente, ma ottenendo il risultato opposto; da qui una riflessione sulle sovrastrutture religiose che, nel corso dei secoli (e non al suo nascere) hanno istituito il terribile senso del peccato, e quindi della punizione, che innaturalmente nega e condanna gli impulsi fisici che sono, essi si, naturali. Da qui potrebbe scaturire una riflessione sul ruolo della donna nel suo ruolo di educatrice, nella sua capacità ad esserlo, ruolo che le è, da sempre demandato ed al quale gli uomini, tranne pochi illuminati, con piacere abdicano. Ruolo quanto mai fondamentale, non smetto mai di ripetere che, facendo un salto nell’attualità, gli uomini colpevoli di femminicidio, e le loro vittime, sono stati educati da donne… da qui l’importanza, prima di tutto, del raggiungimento della nostra consapevolezza.

Grisélidis difende il ruolo delle prostitute, ed analizza in qualche modo la psiche dei suoi clienti chiedendosi: come mai quest’uomo viene da me? Certo i motivi sono molteplici, e non tutti condannabili, come la solitudine, la difficoltà a rapportarsi con sesso opposto, insoddisfazione e mille altri ancora; nessuno condannerebbe una persona per tali impedimenti, ma tutti condannano chi frequenta le prostitute, come nessuno condannerebbe chi alleviasse le pene di qualcuno mentre tutti condanniamo il meretricio.

Non esiste, purtroppo per noi, il buono ed il cattivo: sarebbe comodo ed infinitamente rassicurante. Come non esiste la donna santa o la prostituta: tutte le donne in sala, senza falsi pudori, si sono riconosciute in qualche frase della nostra Grisélidis: anche le donne si concedono, se non per soldi, per solitudine, per insicurezza, per mancanza di affetto. E tutte le donne, alla fine di un rapporto sbagliato, hanno provato la stessa sensazione di sporco, di deludente, di vuoto. Difficile è il superamento di modi di pensare ormai secolari, che ci portiamo dietro come una zavorra che non ci permette di alzare lo sguardo sulla realtà.

Una questione di fondo, però, sussiste: come è possibile parlare di una dignità della prostituzione quando lo strumentalizzare il proprio corpo è la cosa più profondamente mortificante?

Attraverso l’amore, direbbe Grisélidis, e forse questo è ciò che maggiormente ci distingue dall’altro sesso: ciò che per l’uomo è un bisogno fisiologico, per noi donne non può, ad alcun livello, essere disgiunto dal sentimento: che sia amore per un uomo, per la propria missione, se così vogliamo dire, o amore per il genere umano e le sue imperfezioni e debolezze. L’amore, anche in questo caso, muove tutto, anche per Grisélidis che in fondo aspirava, come tutti, al calore di una famiglia e ad una persona che le volesse veramente bene.

 

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